Interviste, 13.01.17

Incontro con Olmo Cerri, videomaker e regista

Con il nuovo anno, AgendaLugano proporrà mensilmente un’intervista a giovani creativi, realizzatori, attori del territorio dove racconteranno come è nata la passione per ciò che fanno. Questo mese abbiamo incontrato Olmo Cerri (1984), videomaker e regista

Inizialmente ti sei diplomato alla SUPSI come operatore sociale. Come sei passato da questa professione a quella di videomaker?

La politica per me è molto importante e credevo che operando nel sociale si potesse al contempo far politica. Desideravo lavorare per un cambiamento sociale. Ma mi sono reso conto che sempre più spesso oggi, essere educatore significa confrontarsi con le persone che si trovano in un momento di debolezza e cercare di far da tampone per evitare che scoppino situazioni drammatiche, senza intervenire sulle cause sociali che creano il disagio. Sempre meno il lavoro sociale permette di intervenire sulla politica, sulle istituzioni, perché non c’è una vera voglia di cambiare il sistema .

La prima esperienza nel campo del video l’ho fatta proprio mentre lavoravo ancora come educatore. Al centro Ingrado di Viganello, il CAD, dove abbiamo girato una serie di documentari con i ragazzi tossicodipendenti che raccontavano alla telecamera la loro visione di città mostrando i luoghi in cui avevano vissuto esperienze significative. La telecamera e il video potevano quindi essere uno strumento di animazione e di lavoro sociale e questa dimensione mi è subito piaciuta. Le dinamiche che intervengono nei due mestieri sono molto simili perché per fare un documentario devi cercare di creare empatia con le persone filmate, devi guadagnarti la loro fiducia, devi lavorare intimamente sulla loro storia. Attraverso i documentari e i film è possibile proporre una visione del mondo che, allo stesso tempo, favorisca un cambiamento sociale. Certo, non sempre ce la si fa…

Dopo gli studi al CISA, con degli amici avete fondato la REC

La REC è nata da un gruppo di compagni che avevano voglia di portare avanti dei progetti condivisi, avevamo un’attenzione particolare per quei progetti che si situano al margine fra lavoro sociale e produzione audiovisiva. Con un po’ di fatica, soprattutto all’inizio, abbiamo trovato una sede, una rete di contatti e di partner, e oggi, da quasi 5 anni, lavoriamo insieme. Nel campo dell’audiovisivo facciamo un po’ di tutto però, quando possiamo coniugare l’audiovisivo ad un tema sociale e politico, lo preferiamo.
La nostra amicizia è nata da una visione del mondo comune, anche se ciascuno la sviluppa poi in maniera differente. Pensiamo che i film non siano solo un prodotto commerciale ma che possano essere un modo di stare attenti ai cambiamenti sociali che accadono accanto a noi, un modo di prendersi cura delle storie e delle persone che le raccontano.

Cosa puoi dirci di quello che fai?

Il mio lavoro in fondo è raccontare storie. Occorre quindi stare molto attento a quello che succede sul territorio, leggere, parlare con le persone e capire dove ci può essere qualcosa di bello da raccontare. In seguito mi pongo tutta una serie di domande: qual è il punto centrale della questione? Come voglio raccontare questa storia? Chi sono i soggetti più importanti per parlare di questo tema? Questo è gran parte del lavoro.
Poi c’è la realizzazione: mi devo organizzare, scrivere i dossier, trovare i fondi, trovare le persone che hanno voglia di lavorare con me e con cui mi trovo bene. Occorre intessere relazioni con i soggetti che intervisto e che decido di filmare, ma anche con tutti coloro che fanno parte dell’équipe realizzativa.

Ciò che mi più mi appassiona è il privilegio che ti dà questo mestiere di conoscere, anche intimamente, le persone. Facendo questo lavoro hai una scusa sociale per “farti i fatti degli altri”, per entrare in casa o in luoghi altrimenti “off limits”. Fare domande e parlare di temi anche difficili. Ciò permette una vicinanza che va al di là delle convenzioni. Si tratta di un privilegio e di una responsabilità, perché i sentimenti e le biografie delle persone sono degli elementi estremamente delicati.

Come nascono le idee iniziali? Come fa un soggetto a colpirti?

Non so bene spiegare perché un soggetto mi colpisce, a volte però in una storia sento che c’è qualcosa di forte. Ripensando ai miei documentari, potrei dire che mi interessano le storie di persone che fanno scelte radicali. Ad esempio in Al film dal Nicolín si parla di un coltivatore bregagliotto che a un certo punto lascia la sua vita da studente e decide di tornare a fare il contadino e di filmare quest’esperienza con una telecamera 16mm. In Volo in ombra invece c’è la storia di un pilota dell’esercito svizzero che decide di smettere di volare ma, dopo aver preso questa decisione, avviene un tragico evento.
Le storie di chi decide di uscire dalla normalità, da una vita tranquilla o indirizzata su dei binari ordinari, per fare qualcosa di radicalmente diverso mi affascinano. In questo momento penso sia importante raccontare storie di migrazione, persone che si trovano nella necessità di lasciare il proprio paese, compiendo anche in questo caso, una scelta radicale…

Il nuovo progetto di documentario su cui sto lavorando, dal titolo Non ho l’età, può essere un esempio interessante di tutto ciò di cui abbiamo parlato. Si tratta di un film che parla degli emigranti italiani in Svizzera che negli anni ’60 scrivevano delle lettere a Gigliola Cinquetti. Nel ‘64 la giovanissima Gigliola aveva vinto Sanremo con la canzone Non ho l’età, ed era diventata un vero e proprio mito. Ha ricevuto dal suo pubblico centinaia di migliaia di lettere e la storia che raccontiamo in questo documentario parte proprio da qui. Siamo stati a Trento per cercare negli archivi della Cinquetti tutta la corrispondenza proveniente dalla Svizzera e in seguito abbiamo rintracciato alcuni dei mittenti. Dopo 50 anni non è stato facile, ma ne abbiamo trovati una decina, fra cui Carmela, don Gregorio, Gabriella e Lorella che sono diventati i protagonisti di questo film. Quattro storie diverse che parlano di speranze, sogni, solidarietà, ma anche (e soprattutto) di chiusura, xenofobia, clandestinità e sfruttamento. Quattro storie oggi più attuali che mai.
Il film, prodotto da Tiziana Soudani per Amka Films SA, con il sostegno della Radiotelevisione Svizzera di Lingua Italiana, dell’Associazione REC e di Tempesta Film, uscirà nei prossimi mesi.

www.olmocerri.ch

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