Il regista nella sede dell’Associazione REC. (Foto: Sandro Mahler)
Il documentarista luganese Olmo Cerri ci parla del suo particolarissimo lavoro di ricerca sull’immigrazione italiana in Ticino.— GIANLUCA BLEFARI
Alla domanda sul suo percorso formativo, il trentatreenne Olmo Cerri, originario di Sonvico con radici italiane e germaniche, ci risponde inaspettatamente: «A dire il vero prima di intraprendere la scuola di cinema ho studiato come operatore sociale». Un’affermazione che non ci si attende da un ormai navigato professionista del video, ma a pensarci bene si ha poi l’impressione che tutto quadri: la cortesia unita alla fermezza di chi ha avuto a che fare con persone con storie difficili, come i tossicodipendenti del Centro di Accoglienza Diurna di Viganello; una concezione del mezzo audiovisivo come strumento di conoscenza ma anche e soprattutto di intervento attivo nella società; una lista di opere su personaggi ed esperienze di vita che vanno a scavare nel profondo. Due esempi: “L’uomo volante”, che ripercorre la storia surreale di Plinio Romaneschi, il quale si costruì due ali posticce di seta e si gettò dalla teleferica di Biasca, e “Ul film dal Niculin”, in cui si segue la vita quotidiana di un anziano alpigiano capriaschese. Questo sincero interesse per le storie umane ci viene confermato dalle parole dello stesso Olmo: «La soddisfazione più grande nel fare questo lavoro è sicuramente il contatto e la profonda conoscenza che si viene ad instaurare con i soggetti. In fin dei conti è un privilegio poter entrare nella loro vita per settimane o per mesi come è avvenuto per l’ultimo documentario che ho realizzato». Si tratta di “Non ho l’età”: un fortunato e sui generis lavoro di ricerca sull’emigrazione italiana in Ticino.