di Olmo Cerri, documentario, con Gigliola Cinquetti, Carmela Schipani, Gabriella Brasson, Lorella Previero, Gregorio Montillo (Svizzera, 2017)

Non proprio per tutti, ma il 1964 era l’anno di un boom economico già ben assestato, dell’inaugurazione dell’Autostrada del Sole, di un Sessantotto che stava profilandosi all’orizzonte. Del ricorrente Festival di Sanremo, che esisteva ormai dal 1951; ma del quale c’è stata quell’edizione particolare, vinta da Non ho l’età (per amarti) di Gigliola Cinquetti.

In questo primo lungometraggio di Olmo Cerri (collaboratore della RSI, autore di diversi cortometraggi, assistente alla regia di vari cineasti ticinesi) l’immagine per tanti indimenticabile dell’esordiente sedicenne viene bruciata dopo le prime sequenze. Con quel suo profilo che oggi definiremmo minimalista, il viso pulito, il vestitino grigio, l’atteggiamento discreto ma già determinato; il tutto sottolineato alla perfezione dal bianco e nero, nel formato storico, quasi quadrato della RAI di allora.

Gigliola (che oggi sembra apparentemente disinteressarsi della faccenda), non la vedremo più. E giustamente, in un film del quale è in definitiva protagonista, ma solo per interposte persone. Per tutto quanto ha alimentato, all’interno di un dilagante panorama migratorio, che è ben lungi dall’essersi concluso oggi, mezzo secolo dopo. Non c’è allora da meravigliarsi se cosi tanti emigranti, fra coloro che non avevano avuto la fortuna di beneficiare del crescente benessere, si fossero mossi a scrivere, ammirati, riconoscenti e talvolta postulanti, all’adolescente dal sorriso tanto rassicurante. 140’000 lettere, 400 dalla Svizzera, forse di più all’origine, selezionate e ordinate dallo zio della cantante, ormai occupata da un successo che si farà universale; donate, infine, a un fondo presso l’Archivio della Scrittura popolare di Trento, che non sfuggirà all’attenzione degli autori di Non ho l’età.

Il cineasta Olmo Cerri, la storica Daniela Delmenico a iniziare da una sua tesi significativamente intitolata Ammiratori italiani sfortunatamente all’estero si sono allora chinati in un lungo percorso che ha condotto al film in quattro anni, su quell’immenso, umile ma pure datato materiale. Per ricavarne quattro storie autentiche di quattro “migranti” approdati in Svizzera; quattro vicende dai desideri analoghi e dalle conclusioni diverse, fatte di sogni, solidarietà e riscatti. Come di chiusure, xenofobie, clandestinità e sfruttamenti. Quattro storie sempre attuali.

Ponendosi accanto alle vicende alterne e generazionali, cosi diverse ma eguali di Carmela, don Gregorio, Gabriella e Lorella, un gigante buono dal sorriso gentile come il regista Olmo Cerri, un osservatore che sembra possedere il segreto di lasciar parlare anche gli altri ha costruito uno splendido, soprattutto significativo mosaico. Un assieme ricchissimo, a prima vista quasi debordante, di materiale che va perfettamente organizzandosi; di documenti d’epoca in parte dimenticati (primi fra tutti quelli dell’inavvicinabile testimonianza di Alexander Seiler) come dei filmati contemporanei, girati con insolita adeguatezza nel canton Berna come in Calabria. E personaggi magnifici, che Olmo ha scelto e aiutato a sollevarsi: italiani in Svizzera i cui genitori, spesso i loro nonni, sono diventati più svizzeri di noi. Altri che, pur riconoscenti per quanto ricevuto (talvolta dietro i rigetti e le umiliazioni) per generosità o perlomeno realismo, sono felici di essere a Winterthur; ma preferirebbero ritornare a Cosenza.

Gigliola non c’è più, non ha voluto esserci, e forse il film non lo vedrà nemmeno. Ma Non ho l’età è diventata nuovamente una canzone per tutti.