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Il documentario “L’incredibile giro del mondo del Facchinetti di Curio” realizzato da Olmo Cerri, racconta l’avventurosa storia di Giacomo Facchinetti che, nel 1926, decide di partire per un giro del mondo, in bicicletta e senza soldi. Ad averne riscoperto i diari di viaggio, lo storico Silvio Giamboni, pronipote del Facchinetti.

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Ticino7

La Regione: Ur Jacumin da Curio e il suo incredibile giro del mondo

Sarà stato Jules Verne, o il premio da 25mila dollari, nel settembre del ’26 il Facchinetti partì in sella alla sua bici. La sua storia domani a ‘Storie’

di Beppe Donadio (da La Regione del 26 ottobre 2019)

In questi bizzarri anni Duemila, decennio più decennio meno, in molti avrebbero fatto carte false per essere Fabrizio Corona (e forse le farebbero ancora). All’inizio degli anni Venti, invece, uno dei simboli buoni di libertà si chiamava Phileas Fogg, ricco esponente dell’alta borghesia inglese, protagonista del romanzo ‘Il giro del mondo in 80 giorni’. L’onda lunga del personaggio e dell’intero romanzo di Jules Verne, giunta sino a noi, doveva avere (idealmente) toccato anche le rive di Curio, dalla cui piazza Grande, il 21 settembre di novantatré anni fa, il giovane Giacomo Facchinetti – classe 1897, emigrato a Berna e che nel Malcantone tornava spesso per rivedere gli amici d’infanzia – partiva con la sua bicicletta con destinazione Roma; forse per ricalcare, dalla città eterna, nove giorni più tardi, il sogno del mitico Fogg, partendo per il suo giro del mondo una volta lasciata la moglie a Berna con uno dei due figli e l’altro figlio a Curio, dalla madre; e dopo aver fissato una valigia di cartone al telaio della bicicletta.Senza denaro (altro che Fogg)

Tanto per mettere in chiaro le cose, non disponendo della grana dell’omologo britannico, il Facchinetti decideva di autofinanziarsi: lungo la strada, avrebbe venduto cartoline prestampate con scritto, in tre lingue, “Giro del mondo senza denaro, Roma 1926-1932”. Da “senza denaro”, il suo giro del mondo sarebbe diventato presto anche “senza bicicletta”, perché in Belgio il telaio del velocipede si sarebbe spezzato e il ricavato delle cartoline non sarebbe bastato nemmeno a cambiare una sella; sei anni più tardi, il finale della sua storia, una volta raggiunto il Sudamerica, sarà ben diverso da quello del romanzo: da Roma alla Normandia, da Madrid alla Tripolitania, da Mogadiscio al Sudafrica, da Buenos Aires al Cile, l’ultima segnalazione del Facchinetti in vita dirà “Perù, distretto di Limbani, 16 aprile 1932”. Tra misteri, passaparola di passaparola e fantasticherie gratuite, a Curio ‘Ur Jacumin’ sarà sulla bocca di tutti fino a che l’insegnante Silvio Giamboni non metterà ordine tra i diari del sognatore. Non prima, però, del nuovo millennio (inoltrato).

La Rsi, in ‘Storie’, racconterà la storia del Jacumin domani alle 20.40 su La1. ‘L’incredibile giro del mondo del Facchinetti di Curio’ è il documentario on the road di Olmo Cerri con annessa una (simbolica) caccia al tesoro, un misterioso premio di venticinquemila dollari (125mila franchi svizzeri dell’epoca) messo in palio dalla Società Geologica dello Stato di New York per chi, in bicicletta, fosse riuscito ad andare da un capo all’altro della terraferma in sei anni, attraversando tutti i dovuti fiumi, mari e oceani. ‘L’hanno ammazzato per rubargli i soldi’, sostengono ancora in paese. Ma di quel premio, Giamboni non ha trovato traccia; del passaggio del Facchinetti invece sì, e Cerri ne ha ben ricostruite le tappe.

 Silvio Giamboni, il ricercatore: io, biografo del ‘Globetrotter del Malcantone’

Insegnante fino a quattro anni fa, Silvio Giamboni è il depositario delle verità di Giacomo Facchinetti e nel documentario di Cerri, limitatamente alla Francia e alla Spagna, ne ha ripercorso il tragitto in prima persona, davanti alla telecamera. «Pensavo che mi avrebbero fatto solo qualche domanda, e invece mi han fatto fare il protagonista. È stata dura, sono una matricola in questo campo», racconta divertito. Nel libro ‘Un globetrotter del Malcantone’ (Ed. Ticino Management), Giamboni ha raccolto l’opera omnia del Jacumin, scritt, fotografie, articoli di giornale e tutto il resto così come recapitati al padre di Giacomo, Giovanni, dopo la morte del figlio. «La ricerca è cominciata dodici anni fa, quando insegnavo ancora. Ho iniziato a trascrivere i due diari, quello dell’Europa e quello molto parziale dell’Africa. Il racconto europeo finisce in Spagna, ma a quanto pare Facchinetti è arrivato in Portogallo e a Gibilterra, l’abbiamo scoperto da un articolo di giornale».

Ad aiutare Giamboni nella ricostruzione è contato anche un rapporto di parentela: «Mia madre è cugina del protagonista. Negli anni 50, durante i giorni di festa, spesso si parlava di questo cugino, visto un po’ come un avventuriero. Si diceva fosse morto per mano dei banditi. Poi negli anni 90 conobbi suo figlio. È morto tre anni fa, dopo avermi permesso di accedere all’archivio del padre, un poco alla volta. Deve aver pensato che sarebbe stata l’occasione per ricordarlo». 

Olmo Cerri, il regista: ‘Curioso, moderno, e non aveva paura dello straniero’

La voce fuori campo ha la ‘R’ del Facchinetti, perché quella si dice avesse. Così è proprio il Facchinetti che parla, come da suoi appunti di viaggio. Anche gli anziani del paese parlano, foto e ricordi alla mano. «Non appena ne ho letti i diari – racconta Olmo Cerri –, mi è sembrata una storia nuova da raccontare. Spesso in Ticino si raccontano le stesse leggende, gli stessi personaggi che sono tornati e sono diventati mito». Il regista de ‘L’incredibile giro del mondo del Facchinetti di Curio’ ha l’attenzione della ricostruzione storica, pur mantenendo la leggerezza del romanzo d’avventura, «perché i suoi diari sembrano davvero le avventure di Salgari, che magari anche lui leggeva». Difficile, non a caso, «capire se tutto quello che è scritto poi sia vero oppure no. A volte ci avviciniamo alla fiaba, e ai racconti delle sue esperienze con i leoni è un po’ più difficile credere. Ho dovuto forzatamente mettere da parte il dubbio».

Rivoluzionario a modo suo, nel 1926 Facchinetti fa qualcosa di insolito e pure moderno. «Certamente più moderno di chi in Ticino ha ancora paura dello straniero. Salvo qualche eccesso, era curioso, aveva voglia di incontrare senza temere quel che arrivava da fuori. Mi sembra bello, in quest’epoca in cui i ragazzini vengono mandati via dalle scuole senza che possano finire la formazione. Raccontare la storia di uno che voleva conoscere il mondo e rispettava i popoli che incontrava è stato un piacere».

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