unologo-jpgUNO è stato un progetto di magazine culturale online che abbiamo provato a fare attorno al 2011-2012 con gli amici di Radio Gwen.

Era un web-magazine-contenitore animato da Alan Alpenfelt e Flavio Stroppini. Nella sua presentazione si diceva “Uno vuole, come un collage di sguardi, uscire di casa e raccontare una storia che parla di noi e che ci aiuta a capire come e dove viviamo.” Ho curato la rubrica cinematografica.

Questa è una raccolta antologica dei testi prodotti. 

Il Pene di Fassbender – gennaio 2012

Sono stato a vedere Shame. Che avevo già cercato di andarci la settimana scorsa ma la sala era già piena allora avevo visto The Iron Lady sulla Tatcher. Ma non divaghiamo. Shame significa vergogna, ma anche pudore, disonore e peccato. Ma non è questo di cui volevo parlare. Volevo raccontare che avevamo i posti in fila E il numero 5 e il numero 6. Solo che l’E6 era già occupato allora ci siamo seduti all’E4 e all’E5. In fondo per noi non cambiava nulla e mi sembra sempre un comportamento da ossessivi quello di volersi sedere al cinema proprio al proprio posto. C’erano i trailer e poi il film è iniziato e dopo qualche minuto è arrivato chi aveva comperato il biglietto per il posto E4 che non spettava a noi, allora abbiamo chiesto al tipo che era seduto all’E6 di controllare il suo biglietto, effettivamente lui aveva l’F6. Aveva sbagliato fila. Chiarito l’equivoco ci siamo alzati per fare scambio di posto. Soltanto che era proprio il momento in cui si vedeva il pene di Fassbender e quelli delle file dietro ci sono rimasti male e hanno urlato. Ho chiesto scusa a quelli delle file dietro anche se poi hanno passato tutto il film a mangiare che non mi sembra proprio il film adatto su cui mangiare.

Carnage – ottobre 2011

Una persona di cui non posso dire il nome e nemmeno l’iniziale è andata a vedere Carnage di Polanski. (Così giusto per chiarezza: non è il mio coinquilino Stefano. Lo dico a scanso di equivoci). Questa persona misteriosa è andata a vedere Carnage con lo scopo di cercare di limonare con la sua accompagnatrice. Questa persona misteriosa non era molto contenta del risultato della serata. Effettivamente Carnage non è il film più adatto se vuoi limonare, per diversi motivi. Io ho identificato i tre principali.

1) È un film in cui parlano un sacco. Dall’inizio alla fine ci sono i quattro protagonisti che parlano senza interrompersi mai. Una dei quattro è quella di Titanic, mi hanno detto. Io non l’avrei mai riconosciuta. Parlano, parlano, parlano tutto il tempo. Non ci sono quei momenti di bassa in cui ti puoi distrarre per cercare di insidiare l’accompagnatrice. Devi rimanere concentrato.

2) È un film breve. Dura poco più di un’ora. 79 minuti per l’esattezza. Soprattutto se non sei sicuro che lei ci stia, è meglio se scegli un film più lungo. Così hai più possibilità di riuscirci. Titanic, che dura 194 minuti è meglio. Hai più del doppio del tempo a disposizione.

3) Il vomito. In Carnage c’è un lungo momento in cui un protagonista vomita. C’è vomito dappertutto. E poi tutti puliscono il vomito. Anche questo non aiuta. Non funziona limonare con l’idea del vomito. Può essere difficile anche limonare con l’idea degli annegati del Titanic, ma secondo me è comunque meglio.

Ho letto su Vanity Fair che Polanski consiglia agli sceneggiatori in crisi di farsi mettere agli arresti domiciliari in modo da essere obbligati a stare in casa a scrivere. Era un articolo dal tempo di lettura previsto di 11 minuti. Lui parla per esperienza. Ma non so se è un buon consiglio da dare agli sceneggiatori in crisi.

Claudia Cardinale quando ride si piega un po’ di lato – settembre 2011

Stefano, il mio coinquilino, si è ritrovato la sera che premiavano la Claudia Cardinale al Festival di Locarno senza un posto a sedere in piazza. Allora ha provato ad entrare nel ring, che è quella zona delimitata riservata ai VIP (o presunti tali) e agli sponsor, che rimane spesso parzialmente vuota. Grazie alla sua proverbiale caparbietà è riuscito ad entrare e sedersi. Hanno premiato la Claudia Cardinale, e poi lei è andata a sedersi nel ring, proprio una fila di sedie davanti a Stefano. Dopo la premiazione c’era un film giapponese ed è quindi salito sul palco il regista giapponese che parlava in giapponese con una traduzione simultanea in francese. Stefano seduto nel ring stava aiutando una ragazza indiana appena conosciuta a capire quanto succedeva sul palco, traducendo dal francese all’inglese. Claudia Cardinale, sentendo vociare alle spalle si è voltata stupita e, con sguardo lusinghiero e un grande sorriso, ha chiesto a Stefano “Ma tu parli giapponese?”. Stefano, contraccambiando il sorriso, ha spiegato a Claudia Cardinale che stava soltanto traducendo dal francese. Poi inizia il film, che è un film da ridere. Stefano ride. Anche Claudia Cardinale ride e ogni volta che ride si volta di tre quarti come a gettare uno sguardo ammiccante a Stefano. Stefano è inizialmente un po’ imbarazzato da tutto questo interesse da parte di Claudia Cardinale, anche perché “C’era una Volta il West” è uno dei suoi film preferiti e li Claudia Cardinale era proprio bellissima e la scena in cui fa il bagno nuda nella tinozza piena di schiuma l’aveva turbato parecchio nel corso dell’adolescenza. Stefano decide di lasciarsi andare e di contraccambiare i sorrisi e inizia a riflettere sui suoi pregiudizi rispetto al sesso con persone anziane. In fondo Claudia è ancora una donna piacente. Ma dopo un po’ Stefano si accorge che non è lui che sta guardando, ma che è una specie di tic di Claudia Cardinale, e che quando ride si piega un po’ di lato.

Cloro – agosto 2011

Il contributo per UNO di agosto. Per questo numero ci si stacca dalla classica impostazione a “rubriche” per lasciarsi travolgere dal “dove sono oggi”. Qui e ora, perché come riportato nell’editoriale “sapere dove siamo è un metodo per cercare di intuire chi siamo e il primo passo per comprendere da dove veniamo. Ma questo sarà il lavoro di una vita intera.”

Sono sull’autobus numero due quello che dal lago va fino alla stazione. Alla fermata del lido sale un gruppo di ragazzi. Il loro forte odore di cloro da piscina riempie il mezzo. Uno di loro si siede accanto a me, ha i pantaloni bagnati.
Ha con sé un iphone collegato a delle casse, piccole ma potenti, con un’ applicazione che simula rumori corporei. C’è il tasto rutti, il tasto scoregge (con diverse modulazioni). Lui schiaccia le icone e il gruppo ride di gusto. Anche a me viene da ridere. Scendo alla stazione e vado dove devo andare. Al ritorno scendo a piedi verso casa. Prendo l’abituale scorciatoia, quel percorso che da sotto alla stazione arriva in centro, alla pensilina del Botta, passando per le scale esterne di un complesso bancario, ma scopro che il percorso è stato sbarrato. Un grande cancello all’altezza della Madonna in cemento armato con un gancio sulla schiena per poterla spostare con la gru. Sono un cultore dei percorsi alternativi, quindi evito la via Cattedrale, torno un po’ indietro e imbocco una stradina che a memoria dovrebbe portarmi in centro. Ma sbaglio qualcosa e soprappensiero entro in una rampa di un parcheggio. Una voce mi urla “via da lì”, torno indietro e raggiungo la signora che sta gridando. Le dico di smetterla di urlare e che io vado dove voglio. Ha una cinquantina di anni, una maglietta leopardata attillata e mi dice che è la custode. Le dico che ho sbagliato strada ma che non deve urlare in quel modo, è una custode, mica un poliziotto. Lei mi dice che con il buio non ero un bel vedere e che di solito ci sono dei ragazzi che si arrampicano sui muretti.

Troppo pochi dinosauri – Luglio 2011

È difficile scrivere un articolo che parli di fugacità e cinema allo stesso tempo. Sarei stato meno in difficoltà a scrivere un articolo su cinema e dinosauri. Inizialmente, prima che la redazione mi segnalasse il tema “fugacità”, avevo pensato di proporvi l’elenco delle dieci cose che fanno incazzare un docente di storia e critica cinematografica. Purtroppo me ne sono venute in mente solo tre. Ma mi sembrava un’idea cool quella di risolvere un’articolo con un elenco.

1) Confessare di aver visto nascita di una nazione in VHS a velocità doppia
2) Parlare di Malik avendo come unica fonte l’intervista a Sean Penn su Vanity Fair (tempo di lettura prevista: otto minuti)
3) Tenere una rubrica cinematografica supponente e pressapochista come questa.

Ma un elenco di tre punti non è evidentemente abbastanza per un articolo. Quindi ho lasciato perdere. L’altra cosa che mi era venuta in mente è che, quando sono andato a vedere “The Tree of Life” di Malick, un sacco di gente si è alzata dalla sale e se ne è andata. È fuggita. Fugacità. Non so se vale. Ho letto che per errore, alla cineteca di Bologna, hanno proiettato per nove giorni e mezzo il film di Malick film invertendo il primo e il secondo rullo. Nessuno si è accorto di nulla. La direzione della cineteca ha diffuso un comunicato esprimendo rammarico e scusandosi per l’accaduto. Secondo me non era mica necessario scusarsi. Comunque lo sceneggiatore Davide Pinardi sul suo blog dice che è colpa della scomparsa della parabola narrativa e della fabula. Secondo me invece è colpa della distrazione del protezionista. Premetto che tutto quello che so di Malick mi viene dall’intervista a Sean Penn su Vanity (tempo previsto di lettura otto minuti, ma io l’ho letto rapidamente e superficialmente in al massimo quattro minuti e mezzo). Visto che tutti dicono che cosa ne pensano del film e che devo in qualche modo concludere quest’articolo vi dico anche io che cosa ne penso. Secondo me c’era troppa trama. Come in certi porno, quando arriva l’idraulico e i protagonisti cincischiano e perdono tempo. Troppa trama. Se fossi in Malick avrei tolto tutta la parte della storia della famiglia, dei flashback con il bambino cresciuto e lasciato soltanto la parte delle immagini più astratte. Anzi, se fossi in Malick, avrei messo più dinosauri.

La brocca della mamma di Fassbinder – giugno 2011

A casa nostra beviamo quasi sempre acqua del rubinetto. Un po’ per motivi etici e un po’ per motivi economici. Ogni tanto compriamo la Rivella Rossa. Ma raro.
La portiamo in tavola in una brocca di ceramica che era della nonna di Stefano, bianca con delle decorazioni e dei paesaggi azzurri. In primo piano c’è un albero, poi un lago, delle case e delle montagne, della capre e una ragazza che sventola un fazzoletto. Abbiamo anche quattro tazzine e quattro piattini. Le tazzine le usiamo solitamente per il budino, il gelato e il gazpacho, mentre i piattini sono in frigo sotto ai barattoli dei sottaceti per evitare che lascino la macchia.
Sul fondo della brocca c’è un marchio: Villeroy & Boch Niettlach, più sotto “Made in Germany” e poi “Burgenland“, che penso sia la serie, e poi qualcosa di simile a “Mettlaches Kupferdruck Unterglasur“, ma è sbiadito… dovrebbe riguardare la particolare tecnica di stampa tramite conio di rame introdotta dall’azienda sin dal 1791.
Nel 1748 ad Audun-le-Tiche in Francia, François Boch comincia a fabbricare vasellame e per un paio di secoli, aiutato da figli, nipoti e pronipoti, i Boch vanno avanti a fabbricare stoviglie, a qualche centinaio di chilometri dal luogo in cui cui nel 1945 nascerà Fassbinder.
Nel 1978 Fassbinder gira un episodio del film collettivo “Germania in autunno” in cui è quasi sempre completamente nudo, tranne quando a tavola parla con la madre. In mezzo alla tavola della madre c’è una brocca uguale a quella in cui beviamo io e Stefano.
Guardando il film, tutto il tempo ho pensato alla brocca.
Prima di scrivere questo articolo non l’avevo mai guardata con attenzione.

Uno di Maggi – maggio 2011

Il bello di vedere i film è che fanno nascere dentro di te delle domande. Mentre davanti ai tuoi occhi scorrono le immagini scelte dal regista, la tua mente è libera di vagare, fare collegamenti ed aprire le porte di nuovi mondi. Da una curiosità all’altra, un percorso sinaptico fatto di stimoli e di immagini. Per esempio, guardando “Somewhere” della Sofia Coppola con Stefano è nato un dibattito sull’età di Valeria Marini. Secondo me aveva fra i 30 e i 40 anni. Secondo Stefano fra i 40 e i 50. Aveva ragione lui. Consultando wikipedia abbiamo scoperto che è nata il 14 maggio 1967, fra pochi giorni compie quindi 44 anni. Il bello di vedere i film con Internet vicino è che ogni curiosità può essere subito appagata. Ma non tutte. Per esempio, dopo aver visto “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini ho subito scritto al servizio consumatori della Maggi (azienda ora conglobata dalla Nestlé) per cercare di rispondere ad un mio assillante dubbio.

Egregi signori,
mi è capitato di vedere Salò di Pasolini, sono rimasto particolarmente colpito dalla signora Maggi, colei che propone e promuove l’oroanalità e la scatofilia all’interno della comunità. Visto che il nome richiama il vostro rinomato insaporitore per alimenti, mi chiedevo se fosse un caso di produc placement all’interno della pellicola o se ci fosse in qualche modo un collegamento, diretto o indiretto, voluto o non voluto fra le scelte alimentari proposte nel film e il vostro  “aroma” che, grazie ad esperienza, qualità e un’attenta selezione dei migliori ingredienti, arricchisce in modo sano e leggero il gusto di ogni mio piatto. In attesa di una vostra risposta, cordialmente vi saluto.

Quartz: i premi del cinema Svizzero – aprile 2011

Sabato 12 marzo, al KKL di Lucerna si è svolta la serata di assegnazione dei Quartz 2011, i premi del cinema svizzero. Quella stessa mattina, Y. una signora conosciuta da tutti per la sua passione per i gatti, ha suonato il citofono della casa dei miei genitori. Con tatto si è informata se il nostro gatto fosse in casa e, visto che il nostro gatto non era in casa, sempre con tatto, ha informato mio padre del fatto che sulla strada cantonale, sotto alla casa della famiglia L. aveva visto un gatto schiacciato che sembrava il nostro. Lo aveva tirato da parte sul marciapiede. Nonostante fosse un po’ diverso da come lo ricordavamo, probabilmente a causa dell’impatto con l’automobile, è stato indiscutibilmente identificato Alì. Era un bel gatto rosso, lo avevamo scelto rosso sia per questioni ideologiche ma anche perché avevamo avuto una serie di gatti tigrati grigi che avevano avuto una brutta fine. Grisù si era ammalato di una malattia strana e Pirù, il suo successore era invece era annegato nella piscina dei vicini. Che morte paradossale per un gatto. La situazione ricordava, con i distinguo del caso, la scena iniziale di Sunset Boulevard. Alì aveva otto anni, per i primi quattro anni della sua esistenza ha avuto un carattere orribile. Non potevi accarezzarlo perché graffiava, e ti faceva degli agguati quando andavi in bagno di notte. Poi si è calmato, tornava a casa pieno di ferite e di croste, ma era diventato più coccolone. Solo che a causa delle ferite e delle croste a volte faceva ribrezzo accarezzarlo e averlo vicino. In virtù della base legale che permette di smaltire le carcasse degli animali domestici di piccola taglia (fino al peso di 10 kg) senza ricorrere all’incenerimento Alì è stato seppellito in fondo all’orto della nostra casetta di montagna. Alì pesava al massimo 2 kg, a dir tanto. Il Quartz per il miglior film è stato assegnato al film “La Petit Chambre” di Stéphanie Chuat e Véronique Reymond.

Come scegliere il proprio film preferito – marzo 2011

Due anni fa ho fatto richiesta per essere ammesso in una scuola di cinema. Ho dovuto presentare un po’ di carte, qualche lavoro fatto e poi sono stato convocato per un colloquio con il direttore e alcuni responsabili. Ero un po’ agitato e allora nei giorni precedenti al colloquio mi sono preparato alcune risposte che mi avrebbero potuto aiutare. Ho pensato che, per esempio, mi avrebbero sicuramente chiesto quale fosse il mio film preferito. Ecco. Questa è una tipologia di domanda che mi mette sempre in difficoltà. Faccio molta fatica a considerare le categorie di cose “preferite”. Non è che non ci siano film che mi sono piaciuti, anche molto, è che difficilmente uno fra gli altri lo potrei mettere con facilità in cima ad una ipotetica lisa. Mica solo per i film. Anche per il cibo. Mi piacciono un sacco di cose, ma una preferita? Che poi magari se cito un piatto piuttosto che un altro me lo fanno trovare pronto quando vado a cena da loro. Per i dolci invece potrei dire con moderata sicurezza che il mio preferito è il panino all’uvetta. Comunque, torniamo all’esame. Qualche giorno prima avevo visto alla rassegna cinematografica del CSOA di Lugano il film di Giorgio Diritti “Il vento fa il suo giro”, un film che mi è piaciuto parecchio, il mio preferito? Certamente no? Però mi pareva che avrebbe potuto racchiudere in sé tutte sé caratteristiche minime necessarie a farlo diventare un “film preferito” plausibile per un colloquio di ammissione ad una scuola di cinema. Perché poi mica tutti i film vanno bene, magari uno ha la piena consapevolezza che “L’allenatore nel pallone due” sia il suo film preferito, ma non è che mica può andare a dirlo in giro, soprattutto negli ambienti delle scuole di cinema che notoriamente sono un po’ snob. Invece “Il vento fa il suo giro” mi sembrava perfetto: culturalmente accettabile, abbastanza di nicchia, moderatamente d’autore, conosciuto ma non troppo. Era anche diventato “un caso” in Italia perché un cinema di Milano lo ha programmato in continuazione per mesi. Ora, con il senno di poi, so che avrei dovuto citare un film del cinema delle origini, magari muto, se avessi davvero voluto fare una buona impressione. Comunque, se volete vedere il mio film preferito gratis lo passeranno allo studio foce di Lugano il 15 marzo alle 18’30. Gli organizzatori hanno chiamato Diritti per invitarlo alla proiezione, ma lui era in partenza per il Sud-America per girare il suo prossimo film. Era molto dispiaciuto.

Recensione di Avatar da uno che non l’ha visto – febbraio 2011

Volevo confessare. Non ho visto Avatar. Tutti dicono Ah, va visto per gli effetti speciali! oppure Ah, segue alla lettera gli schemi di narrazione classici! Io non voglio fare lo snob che non guarda Avatar, è che non sono andato a vederlo quando era programmato al cinema (perché ero ancora un po’ nervoso per la storia delle lasagne) e poi volevo vederlo al Cinema al Lago ma non ricordo più se pioveva o se dovevo fare qualcos’altro quella sera. Non è che non ho visto Avatar perché voglio fare lo snob, Titanic si, non lo ho visto perché volevo fare lo snob, lo ammetto, soprattutto se ormai sono passati anni. Era che, a quell’epoca, tutti andavano a vedere Titanic. C’erano le ragazzine che erano innamorate di Leonardo di Caprio ed andavano a vedere Titanic cinque o sei volte ed io ero alle medie e volevo essere alternativo e quindi non ci sono andato. L’ho visto poi in VHS (erano i tempi in cui non si potevano scaricare i film ma dovevi farti prestare le cassette dagli amici e capivi tanto di una persona guardando se te le restituiva riavvolte o no). Però Avatar è come se lo avessi già visto, perché ho visto sul computer di mia sorella Wall-e, e non so come mai mi immagino che la storia sia simile anche se tutti dicono che è più simile a Pocahontas. So che ci sono delle persone blu che si muovono in uno sfondo fatto con il computer e che le loro code sono i loro organi sessuali (non ho capito bene se questo è esplicito o se è una supposizione dei miei informatori). Ho sentito anche che su Internet c’è una scena censurata di questi alieni che hanno un amplesso. Non so se con le code o con cosa. Ho fatto una veloce ricerca e ho scoperto che vendono delle pseudovagine aliene di plastica blu per provare l’ebbrezza di amare una extraterrestre. Costano solo 74 dollari.

Le lasagne al CineStar – gennaio 2011

Un lunedì, che costa meno, sono andato al CineStar con Stefano. Lui era appena stato a trovare la nonna, che gli ha preparato cinque tegliette di lasagne da congelare. Ne ha fatte cinque perché, secondo lei, la parte più complessa della ricetta è fare il ragout, e una volta tagliate le cipolle, la carota e il sedano tanto vale farne in grande quantità.
Stefano non ha fatto in tempo a passare a casa a congelare le lasagne ed è quindi venuto al Cinestar con la borsa con le cinque tegliette. La nonna, con la sua scrittura graziosa, ha persino scritto cinque volte “lasagne” e cinque volte la data di quel lunedì sul cartoncino che chiude le tegliette. Il signore che strappa i biglietti al CineStar ha chiesto con tono scocciato a Stefano – Che cosa hai nella borsa? – e Stefano con gentilezza ha risposto – Cinque tegliette d’alluminio di lasagne da congelare fatte in casa dalla nonna -. Il signore dei biglietti ha incalzato – Non si può portare cibo dentro nel cinema – e Stefano ha ribattuto – Non le mangiamo mica, sono da congelare – e il signore dei biglietti, fermo sulla sua decisione ha ribadito – Fa niente, lasciatele in quel posto li – e Stefano, con genuina preoccupazione, ha chiesto – Ma non è che poi ci fate uscire da dietro e non possiamo più recuperarle? – e lui ci ha rassicurato – No, non preoccupatevi voi potete uscire dal davanti – Allora noi che non avevamo voglia di fare polemica abbiamo seguito le indicazioni. Era un magazzino delle scope. Abbiamo appoggiato le tegliette fra un grosso bidone di sapone ed una aspirapolvere. Una volta dentro ho notato che c’era gente che mangiava i pop corn, gelati e addirittura dei tacos con la salsa che, secondo me, a livello di sporchevolezza equivalgono alle lasagne. E poi, non è per fare confronti, ma una volta sono andato al cinema Lux di Massagno con un barattolo di marmellata e Maurice non ha battuto ciglio.

Articolo de “La Regione” del 1 gennaio 2011