In cui si narra di come il mio trisavolo rubò il gatto del prete di Villa Luganese

La storia che sto per raccontarvi non è capitata a me, e nemmeno a mio padre. Non a mio nonno e nemmeno al suo di padre. Forse al nonno di mio nonno, o forse ancora a suo papà. Ma è vera, lo giuro! Possa seccarmi la lingua se vi racconto una bugia. Questo trisavolo era chiamato “Ur pa Carlìn”, viveva a Sonvico ed evitava i preti con la stessa attenzione con cui le vacche evitano le erbe amare. Ce l’aveva in particolare con il prete di Lavilla, che nascondeva la sua grossa pancia sotto la veste talare nera, anche nei periodi in cui di cibo ce n’era poco per tutti.

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Un pomeriggio di gennaio, seduto sugli scalini davanti a casa, scommesse con un suo compare, un Piazza, soprannominato “Losora”, di essere in grado di rubare il gatto da sotto il naso del prete de Lavilla.

Il felino in questione era un grosso gattone nero, che era conosciuto almeno fino a Lugano per la sua mole particolarmente imponente.
La sera stessa quindi, “ur pa Carlìn”, prese il sentiero che scendeva nella valle che separava Sonvico da Lavilla, attraversò il ponte del mulino, e poi risalì dall’altra parte. Con una scusa si fece accogliere in canonica e il prete di Lavilla lo fece accomodare, come abitudine per sfuggire al gelo del periodo invernale, su di una delle panche sistemate ai lati del camino. I due, mentre l’ingombrante matassa di pelo nero sonnecchiava satollo sotto la panca, discussero di faccende di terre e di confini. Poi “ur pa Carlìn” chiese del vino, poiché per il tanto parlare, gli si era seccata la gola. Mentre il prete scendeva in cantina per spillare un po’ di novello, estrasse dalla tasca un pezzo di lardo dal profumo invitante con cui persuase il felino ad avvicinarsi. E mentre questo già si pregustava il bocconcino, gli sferrò un colpo con il tacco sul muso. Mai morte fu più immediata ed inaspettata.

“Ur pa Carlìn” lesto s’infilo il felino sotto il mantello, tracannò il vino che nel frattempo il prete gli aveva portato, si congedò dall’ignaro reverendo e a passo spedito imboccò il sentiero per Sonvico con il corpo ancora tiepido del gatto che gli scaldava le reni. Qualche giorno dopo il prete di Lavilla ricambiò la visita a casa del “pa Carlìn”, arrivò nel dopocena e trovò seduto al tavolo anche il “Losora” che si allargava la cintura per il troppo mangiare.
Del gatto del prete di Lavilla non restava ormai che qualche ossicino, ormai assolutamente inadeguato ad un riconoscimento certo. Non potendo che azzardare accuse vaghe il prete si congedò di malumore, mentre i due sacrileghi, satolli, se la ridevano sotto i baffi.

Storia raccolta da Maurizio Cerri, rielaborata da Olmo Cerri

Disegni di Laura Pellegrinelli, voce di Luca Gatti