Dalla parte delle bambine RELoADeD

È almeno dal 1973, quando Elena Gianini Belotti dà alle stampe il suo “Dalla parte delle bambine” che si riflette sul fatto che i ruoli “maschili” o “femminili” non sono assolutamente innati o preordinati. È sempre più chiaro (seppur non ancora acquisito) che questi, sono frutto dei condizionamenti culturali che la persona subisce nel corso della propria crescita. La nostra cultura utilizza tutte le armi a sua disposizione per perpetuare e riproporre, attraverso il comportamento degli individui dei due sessi, il mito della “naturale” inferiorità femminile (che si coniuga in fragilità, delicatezza, sensibilità, incompetenza) e della “naturale” superiorità maschile (potenza, forza, abilità tecnica). La tecnologia, e nel particolare i videogiochi, riescono a sfuggire a questa apparentemente inevitabile logica? È questa la domanda che ci si è posti nel corso del seminario “Dalla parte della bambine RELoADeD” tenutosi all’Hackmeeting, l’incontro delle controculture digitali che ha avuto luogo lo scorso giugno negli spazi del Centro Sociale “SOS Fornace” a Rho, nella periferia milanese.

L’eredità di Pac-Man

Regolarmente i media mettono all’indice un videogioco o una tecnologia: GTA, il “simulatore di vita criminale” inciterebbe alla violenza. SecondLife genererebbe comportamenti antisociali e scollamento dalla realtà. Nonostante il successo che questi prodotti hanno avuto non hanno generato generazioni di disadattati. È evidente che non c’è nessuna correlazione scientifica o statistica fra videogiochi e comportamenti antisociali. “(…) se Pac-Man avesse influenzato la nostra generazione, staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva.” scriveva scherzosamente Brigstocke nel 1989. Probabilmente i virus mentali che i videogiochi inoculano nel cervello dei bambini e delle bambine sono di altro tipo. Che cosa assorbiamo nelle ore di esposizione ai videogiochi? Difficile dirlo: sicuramente sono sempre più presenti degli stimoli che contribuiscono a creare un “ruolo” legato al genere.

Un altro “genere” di giochi

I videogiochi che contribuiscono a condizionare i maschietti hanno una storia più lunga. I war games americani preparano le prossime generazioni di soldati addestrandoli con linee strategiche fornite direttamente dal dipartimento militare. Lotta, sparatorie, calcio e sport in genere hanno formato attraverso ai videogiochi, generazioni di maschi. Nella fortunatissima serie dell’idraulico Mario, l’unica presenza femminile è data dalla principessa, che attende di essere salvata. La sua unica capacità, nelle versioni del gioco in cui non è un semplice trofeo, è quella di “fluttuare per qualche secondo in aria”. Qualcosa sta cambiando. Le major produttrici di videogiochi sono sempre di più intenzionate ad accaparrarsi anche il target femminile. Lo fanno con metodi ingenui e vagamente offensivi (come le consolle rosa), che però riscuotono un ottimo successo commerciale. I videogiochi “per ragazze”, che vanno per la maggiore di questi tempi, sono impregnati da stucchevoli stereotipi: uno fra tutti “Cooking Mama“, un simulatore di vita casalinga. Dal sito della Nintendo: “Con oltre 200 minigiochi imparerai a cucinare un’enorme varietà di piatti molto realistici usando il pennino del tuo DS come se fosse un robot da cucina multifunzione: potrai affettare, grattuggiare, friggere e molto altro ancora. Potrai persino soffiare nel microfono per raffreddare il cibo!“. Esiste poi la versione “Gardening” in cui si curano i fiori del giardino, oppure con altri giochi si può accudire cuccioli, creare abiti alla moda, tenere sottocontrollo la propria forma fisica attraverso digiuni, pillole dimagranti e chirurgia plastica virtuale e nel peggiore dei casi, farsi stuprare. Esistono siti specializzati in questo tipo di attività videoludiche, come giochiperragazze.com, in cui i tags più ricorrenti sono: “vestire, truccare, pettinare, amore, bellezza, cucina e animali”. Interessante è la divertente parodia belga “Shii – The Wii for Women” che porta al parossismo questa tendenza, con “sukendLife” in cui occorre praticare una fellatio alla manopola Wii per guadagnare punti. Giochi per donne realizzati da uomini, secondo le statistiche del 2006, citate da Punto Informatico, solo il 12% dei dipendenti dell’industria videoludica britannica sono donne. Anche a livello accademico la questione è simile: se nel complesso il numero di donne iscritte nelle facoltà scientifiche supera quello degli uomini, nelle facoltà informatiche la presenza femminile è addirittura diminuita negli ultimi anni.

Gender political divide

La tecnologia sembra ancora essere “affare da uomini”, anche se le eccezioni sono moltissime, si nota comunque una presenza ed una partecipazione minore delle donne e compagne rispetto alle nuove tecnologie. Anche nei progetti mediattivistici di “movimento”, si nota una defezione delle compagne: il collettivo di indymedia svizzera è per buona parte composto da maschi. Le serate del LIP (il laboratorio d’informatica Popolare) sono state, gestite e seguite da un pubblico per la maggior parte maschile. Fra i pochi molinari che sanno riavviare il server interno del centro non ci sono donne. Ma stiamo attenti a non cadere nella trappola della “naturale difficoltà della donna ad approcciarsi con la tecnologia”, ci ricordano le compagne del blog “la-rete-non-neutra”: “La rete è un mondo pieno zeppo di uomini che hanno creato regole quasi indiscutibili, metodi, linguaggi, priorità e finalità. Quel che è peggio è che la maggior parte di questi uomini non hanno neppure una visione libertaria ma piuttosto ingenerosa e autoritaria dell’uso del mezzo tecnologico. Ed è lì che si colloca il “gender political divide”.

La tecnologia quindi non è uno strumento così “neutro” come si vorrebbe credere, e ancora, dal blog “femminismo a sud”, si continua nell’ABC della femminista teknologica “La naturale predisposizione di cui parlano è di fatto una selezione prestabilita per attribuzione di ruoli nell’infanzia. Agli uomini giocattoli da smontare e alle donne bambole cui cambiare i pannolini. La naturale predisposizione è data da una effettiva diversità nell’approccio alla tecnologia. Una diversità “di genere” che va rivendicata e che è fatta di una comprensione del mezzo, il computer, senza dedicarvi una particolare adorazione e senza creare zone di sacralità che non possono essere infrante“. Il testo si conclude con un invito “La rete è dunque una piazza “virtuale”. Presidiarla è un nostro dovere. Comunicare nel miglior modo possibile per cambiare la cultura dominante è un obiettivo possibile e va perseguito. Bisogna entrarci dentro per modificare i linguaggi, le finalità, le priorità.” e questo è un obiettivo il cui raggiungimento non deve essere delegato solo alle donne, ma portato avanti insieme. Cercando di riconoscere ed eliminare i meccanismi di potere escludenti.

Magari passando per il sito delle Feministgamers oppure recandosi all’Eclectic Tech Carnival un ritrovo sullo stile di Hackmeeting dedicato alla condivisione di saperi tecnologici al femminile. Molleindustria, il progetto che cerca di unire la critica videoludica ad un’attitudine mediattivista è particolarmente attento a queste tematiche. E non si parla mai di computer rosa!

Articolo pubblicato su Voce Libertaria (aprile 2009)