Quegli stupefacenti anni zero” un podcast originale di Olmo Cerri prodotto dalla Radiotelevisione Svizzera, con il sostegno della Fondazione svizzera per la radio e la cultura FSRC/SRKS e dell’Associazione REC. Produzione di Francesca Giorzi, postproduzione di Thomas Chiesa e musiche originali di Victor Hugo Fumagalli.

Gli episodi sono online qui su rsi.ch/play (e sulle principali piattaforme: iTunes, Spotify, GooglePodcast).

NB: Questa è una trascrizione sommaria e parzialmente automatica.


EP1: POT-POURRÌ

OCI: È da poco che l‘espressione “vent’anni fa” ha iniziato ad avere un senso per me. Ho sempre pensato che vent‘anni fossero un tempo lunghissimo, un’espressione indefinita per dire un tempo lontano. Invece “vent’anni fa” esiste davvero… anche per me.

OCI: In quegli anni, la crisi climatica non sembrava ancora la condanna a morte che si è rivelata essere poi. Il precariato era un’opzione, non la regola. Le proteste no global radunavano folle in cerca di un mondo migliore e se anche il neoliberismo aveva già vinto, noi non lo sapevamo ancora.
Io sono nato nel 1984, due anni prima di Chernobyl e del passaggio al nuovo millennio e di quei primissimi anni zero, ho dei ricordi un po’ confusi, perché sono passati vent’anni ma forse anche perché ho mosso i primi passi nella vita adulta nel periodo della massima presenza di canapai in Ticino: negozi che vendevano canapa, da fumare, in maniera apparentemente legale.

OCI: In pochi anni il Cantone era diventato una piccola Amsterdam, un’isola allucinata nel centro dell’Europa da cui si levavano ampie volute di fumo denso; un’isola che attirava orde di capelloni da tutta Europa, in cui risuonavano colpi di tamburo e profonde vibrazioni di didgeridoo. A pensarci oggi sembra incredibile, e in questo podcast voglio raccontarvi proprio: quegli stupefacenti anni zero.

Radiotelevisione Svizzera presenta: QUEGLI STUPEFACENTI ANNI ZERO, un podcast originale di Olmo Cerri. Primo episodio: Pot-pourri.

OCI: Eccoci, siamo sull’autopostale, e stiamo andando a incontrare uno dei protagonisti di questa storia che forse potrà aiutarci a capire meglio la situazione.

Voce annuncia fermata del bus: ” Lostallo, Posta”

OCI: Oggi vive nei grigioni ed è stato il fondatore della catena di canapai Flower Power, si chiama Luca Barghini, ma tutti me ne hanno parlato come del “Re della Canapa”.

BARGHINI: Re… cosa vuol dire “Re della Canapa”? Diciamo che sono stato uno dei primi in Ticino e probabilmente mi sono dato più al pubblico.

Archivio RSI: Sassi Grossi con ospite Luca Barghini: Perché questa esplosione del business della canapa…

OCI: Il “Re della Canapa” oggi ha passato i sessanta ed è molto diverso dai video che si trovano su Internet. La sua è una vicenda di emigrazione che inizia come tante altre e parte dal basso.

BARGHINI: Io sono arrivato in Svizzera nel ‘66 all’età di sette anni.

OCI: E in che città eri?

BARGHINI: A Gerlafingen, vicino a Solothurn, a Soletta.

Negli anni Luca ha avuto mille attività, si è occupato di immobiliare, produzione discografica e anche di compravendita di automobili. Quando mi apre la porta della sua casa mi infonde subito sicurezza, ha un certo carisma. Credo che se tentasse di vendermi un’automobile, probabilmente la comprerei. E non ho nemmeno la patente.

BARGHINI: Allora io ho avuto una storia nell’ ’82, dove per la prima volta ho coltivato canapa. Vivevo nella Svizzera tedesca, rientrò un mio amico dalla Giamaica e mi portò dei semi. Io questi semi li misi nell’orto di mio padre, dove da buon italiano faceva questi pomodori. Misi queste tredici piantine nell’orto, poi me ne andai in Inghilterra. Tornai dall’Inghilterra e queste piante erano enormi, ma la cosa strana è che comunque questo qui era un orto dove ci passavano tutti e non ho mai avuto problemi. Sicché raccolsi queste piante e si passò l’inverno praticamente a fumare queste piante. Poi niente, ho fatto il mio iter di lavoro, il commercio d’auto, diverse cose. E un giorno tornavo – era il ‘95 – tornando giù da Zurigo, in treno, sul Zürcher Tagblatt, c’era un articolo di una pagina di questo Bernard Rappaz, questo contadino vallesano e questo avvocato Jean-Pierre Ecker, che praticamente in poche parole avevano trovato questo buco di legge che diceva bene o male che potevi coltivare qualsiasi tipo di cannabis se lo scopo finale non era estrarne stupefacenti.

ESTRATTO RSI: Jean-Pierre Ecker: Sono stato avvocato dell’Associazione svizzera degli amici della canapa e ho scoperto che nel mio paese si punivano i miei compatrioti senza nessuna base legale. Ho così scoperto che si punivano delle persone senza alcuna base legale, ma anche che l’agricoltore svizzero ha inoltre il diritto di coltivare la canapa senza dover richiedere nessuna autorizzazione e guadagnare molti soldi.

BARGHINI: Io ho letto questo articolo. Ero un periodo che avevo voglia di cambiare attività. Il giorno dopo presi la macchina, chiamai questo Bernard Rappaz, andai subito in Vallese. Lo conobbi…

ESTRATTO RSI: Bernard Rappaz: Actuellement dans notre pays, grosso modo on fume 1500 hectares par année qui sont cultivés au Maroc. Alors la question qu’on peut se poser est: est-ce que nous voulons cultiver ça chez nous au lieu de le laisser au Maroc? Un jour au l’autre je pense que la chanvre récréative sera acceptée.

BARGHINI: E capii comunque che in Svizzera tedesca si sta muovendo velocemente. Stavano aprendo negozi, vendevano questi chiamiamoli “cuscini per asmatici”, diversi prodotti della cannabis.

OCI: Come spesso capita, quando i tempi sembrano maturi, le idee che sono nell’aria vengono colte, quasi in contemporanea, da persone diverse. Negli stessi giorni anche nella vita di un altro dei protagonisti principali di questa storia si stava muovendo qualcosa.

ORLANDO: Sono Orlando e sono uno dei primi tre canapai che hanno aperto in Ticino nel ‘96. Il tutto è nato casualmente nel 96. Frequentavo la scuola per esercenti assieme ad un compagno di corso. Durante le pause ci trovavamo, consumavamo un po’ di canapa. E un fine settimana mi ha invitato a trovare sua madre, che viveva a Zurigo e abbiamo scoperto un negozio con la foglia di canapa. Attirati dalla foglia, siamo entrati e abbiamo scoperto che vendevano cuscini riempiti di foglie, rami e semi. Ci siamo guardati negli occhi e abbiamo fatto una riflessione: la legge in Svizzera sugli stupefacenti è una legge federale. Quindi, se è possibile aprire un negozio del genere a Zurigo, in teoria sulla carta deve essere possibile anche in Ticino. E da lì siamo partiti con l’idea di dire: va bene, apriamo un canapaio in Ticino. Era più o meno il mese di marzo/aprile ‘96. Abbiamo iniziato a cercare un locale adatto sul territorio di Lugano, durante la ricerca, cos’è successo, che un amico mi ha chiamato e mi dice: Guarda Orlando ha aperto un canapaio. Dico: come? Dice sì, sì, c’è un canapaio a Cassarate,

ESTRATTO RSI: giornalista: A Cassarate, a pochi metri dal lago, è stato aperto un singolare negozio, il canapaio. In vetrina, una inconfondibile pianta a stella dalle foglie appuntite e seghettate. (musica reggae) All’interno si vendono diversi prodotti, dalla carta ai pantaloni, dal sapone alle scarpe, tutti rigorosamente ricavati dalla lavorazione della canapa, meglio conosciuta come cannabis sativa o marijuana. In Svizzera chiunque è libero di coltivare qualsiasi varietà di canapa, purché non venga utilizzata come stupefacente. Attorno alla canapa è dunque fiorita una ricca produzione di mercanzie. I mille usi di una pianta proibita.

ORLANDO: Uno ha aperto a Lugano, e noi cosa facciamo? Apriamo un secondo a Lugano? Ci abbiamo riflettuto un attimo e siamo arrivati alla conclusione che forse era il caso invece di aprirlo su un’altra città del Ticino e quindi poi noi nel settembre del ‘96 abbiamo inaugurato un negozio di Locarno.

OCI: 1996, probabilmente non era ancora chiaro a molti quello che stava succedendo e le conseguenze che avrebbe avuto, ma quel vuoto legislativo – che permetteva, a certe condizioni di coltivare e vendere canapa – stava per scatenare una vera e propria rivoluzione.

BARGHINI: Io arrivai giù Ticino, mi misi lì, ci pensai un attimo. Noi ci eravamo informati anche presso la narcotici del Canton Ticino. Non voglio fare nomi, ma il Tenente di allora, si andò e non è che ci disse: vendete stupefacenti, non fatelo; non ci disse neanche, fatelo, state tranquilli. Però ci fece capire che comunque c’era questo limbo di tolleranza che alle autorità competenti andava anche bene perché si potevano concentrare su altre cose. Registrai il mio marchio che era “Flower Power”. E dopo neanche tre mesi aprii il primo negozio a Lugano Cassarate, ma non ero il primo, nel frattempo avevano aperto anche altri. C’era già uno o forse due negozi nel Canton Ticino.

OCI: E nell’apertura di questo negozio venne coinvolto anche il giornalista e criminologo Michel Venturelli. Ora Venturelli, fra le varie cose, gestisce un’agenzia di investigazione privata. È una figura particolarmente interessante perché capace di muoversi anche al margine di situazioni di illegalità. Nel mondo della canapa per esempio era coinvolto in alcune società legate alla produzione e da questa posizione privilegiata aveva un visione diretta sui mercati e alle dinamiche di quel periodo.
Lo incontro in un parcheggio, è appostato in attesa del passaggio di una berlina nera che sta tenendo sotto controllo da qualche giorno per conto di un suo cliente. Ha giusto il tempo per raccontare dell’apertura di quel primo canapaio.

VENTURELLI: Sì, mi ricordo perché gli ho organizzato io la conferenza stampa, io lavoravo come giornalista all’80% e mi tenevo un 20% per fare altre cose. Ho chiamato tutti i colleghi e gli ho detto: guardate che c’è questa roba qua. E io gli ho fatto vedere gli aspetti positivi cioè la distruzione del mercato nero. Perchà il problema grande del mercato nero è che su quel mercato circolano in paralleo una marea di sostanze e la meno pericolosa di queste è la canapa, quindi poterla mettere su un binario parallelo dal punto di vista criminologico era estremamente interessante, no?

OCI: Interessante dal punto di vista criminologico, ma anche molto redditizio dal punto di vista economico. Ed è proprio su questi due binari, fra business e idealismo, che questa storia andrà avanti.

ORLANDO: Ci siamo trovati in Ticino con questi tre negozi: uno ‘il canapaio’ che non vendeva né sacchetti né cuscini profumati; uno Luca Barghini che vendeva soltanto i cuscini, che quindi erano di grandi dimensioni, contenevano comunque più rami, più semi che fiori e noi che ci eravamo concentrati su tessili, cosmetici, alimentari e piantine di canapa.

OCI: Dopo questi primi tre negozi aperti nel 1996, in Ticino i canapai iniziarono a spuntare come funghi. Io di tutte queste cose non ho memoria. Nel ‘96 avevo tredici anni, frequentavo la terza media alle scuole di Pregassona, e le mie priorità erano altre. Stavamo costruendo una capanna sull’albero: bellissima. In un bosco sopra Sonvico, con il mio compagno di banco che era anche il mio migliore amico.

OCI: E senti un po’: come avevamo iniziato a fare la capanna?

AMICO: Stavamo di per sé cercando un posto, dove, dove passare il nostro tempo. Inizialmente ci incontravamo di fronte alla fontana e a un certo punto è nata questa idea di costruire la capanna. Quindi abbiamo iniziato a fare un piano, due piani, tre piani, finché siamo arrivati a quattro piani.

OCI: Avevamo costruito una capanna che era una vera e propria baracca abusiva sopra un grande castagno, in una radura nel bosco. Eravamo un gruppo di amici cresciuti insieme. Il terreno era del padre di uno di noi e quindi nessuno ci veniva disturbare.

OCI: Io ho un vago ricordo che andavamo a rubare le assi nei cantieri…

AMICO: Avevamo iniziato a rubacchiare nei cantieri, quindi entravamo, prendevamo quattro, cinque panò e a un certo punto c’erano stati regalati una ventina, una trentina di panò da una ditta di Pregassona e quindi la cosa è diventata più seria.

OCI: Potevamo dormici dentro in quella capanna, avevamo un piccolo impianto elettrico fatto con una batteria di automobile e il tetto, ricoperto di carta catramata, teneva abbastanza bene anche la pioggia.

(rumore di tuono e di pioggia)

AMICO: Dormivamo dentro e alla fine passavamo il nostro tempo lì a costruirla. Non so bene cosa facevamo tutto il giorno, era il nostro campo base.

OCI: Mi ricordo che un giorno, il mio compagno di banco, aveva portato alla capanna un pacchetto misterioso. È la custodia di plastica di una cassetta, una cassetta audio di quelle col nastro dentro però c’è una canna, già rollata.

OCI: Eri arrivato una volta con una canna che non so come ti eri procurato, l’avevamo tenuta lì qualche giorno…

AMICO: Sì, lì era il ‘97 o il ‘98. Avevo rubacchiato a mio padre della ganja che aveva all’interno di barattoli nella sua casa ed era una cosa figa da fare. Ci fumiamo una canna e vediamo come è, avevamo quattordici o quindici anni, forse meno…

OCI: Era alle medie…?

AMICO: Sì, alle medie. Io… non lo so se avevo già fumato quella volta lì. All’inizio era divertente, praticamente l’effetto della ganja era che ti faceva ridere qualsiasi cosa…

OCI: Non ho particolari ricordi di quella prima fumata. Io sicuramente prima di quel giorno non avevo mai fatto nemmeno un tiro di sigaretta. Le campagne anti fumo c’erano, mi ricordo l’adesivo con la sigaretta annodata, su sfondo blu che avevo appeso in cameretta, ma queste campagne non erano poi così sentite. Anche perché si poteva fumare dappertutto: nei bar, sui treni. In teoria era chiaro che fumare facesse male, ma era così bello farlo, fumavano tutti. E poi c’era questa novità… di cui pian piano ci siamo accorti anche noi: i canapai…

AMICO: Ero un po’ contrario ai prezzi, costava tanto. Sono entrato un paio di volte a comprare, c’erano queste ganje indoor molto potenti. E vedevo quel lato lì del business che non mi piaceva tanto. Quindi i canapai ce li ho bene in mente, però poca esperienza, sono entrato due o tre volte.

ESTRATTO RSI
Giornalista: La Flower Power è un’azienda che ha deciso di sfruttare questo enorme potenziale aprendo un negozio a Lugano. Un’operazione resa possibile dalla particolare legislazione svizzera. Luca Barghini, presidente del gruppo: la legge svizzera dice che si puo’ coltivare qualsiasi specie di canapa, basta che non venga usato allo scopo di produrre stupefacenti.

BARGHINI: Questo negozio era in parte un grow-shop, ossia vendeva tutto il necessario per coltivare e in più vendeva questi cuscini. Ma all’inizio il problema di questo cuscino, era che era troppo grosso per i clienti italiani che non vogliono comprare un cuscino con mezzo chilo di fiori. Sicché ci siamo avvitati un cuscino più piccolo, finché un giorno ci siamo inventati – non io, ma abbiamo seguito l’onda – il potpourri: il sacchettino per profumare l’armadio. E infatti noi si vendeva la canapa per profumare, non per fumare. E da lì chiaramente, avendo un oggetto, diciamo, un prodotto che si poteva vendere a un prezzo più basso, incominciò chiaramente ad andare molto bene.

OCI: E questo è un passaggio importante nella vicenda, un primo salto di qualità: il passaggio dai cuscini (grossi, pieni di foglie e semi), al “potpourri”, più piccolo, trasportabile e contenente erba di qualità migliore.

ESTRATTO RSI
Giornalista: Ecco quindi i sacchetti profumati si presentano come sacchettini di plastica, minigrip, quanti grammi?
Negoziante: Ma questo a dipendenza dalla qualità che si vuole acquistare, a dipendenza dove è stata coltivata, indoor, outdoor, diverse specie.
Giornalista: Quindi lei vende questi allo scopo di profumare, punto e basta?
Negoziante: Certamente, come dice la legge.
Giornalista: Immagina che se ne possa fare un uso diverso?
Negoziante: Se io dovessi solo immaginare questo non lo venderei.

OCI: Sacchetti di erba non da fumare ma per profumare gli armadi, vezzosamente definiti come potpourri, a volte invece erano venduti come fiori secchi per ikebana, nel sacchetto c‘era un foglio di accompagnamento che invitava a bucherellare la busta con un ago per favorire lo sprigionarsi degli aromi, oppure ad aggiungerla l’erba nell‘acqua del bagno.

VENTURELLI: Una situazione come molto spesso capita in Svizzera, cioè era da manuale dell’ipocrisia, perché era ovvio per tutti, per chi vendeva e per chi comprava, che quella roba sarebbe stata usata come stupefacente. Però non bisognava dirlo.

BARGHINI: Nota bene, all’inizio erano fiori che compravo sul mercato in Svizzera interna, erano la maggior parte ancora semi, non si parla ancora di “sensimilla”. poi a un certo punto arrivò l’indoor, insomma la qualità man mano aumentava.

ORLANDO: La “Super skunk”, la “White widow”, la “Top 44”, l’Amnesia… le classiche diciamo. Come se parliamo di auto parliamo di Audi 4, Renault 5 Turbo, modelli storici che hanno scritto la storia delle macchine, ecco nella canapa sono queste qualità qui.

ORLANDO: Il contenuto diciamo che potevi mettere in un sacchetto per deodorare le scarpe o per deodorare l’armadio, in un pout-pourri va da due a cinque grammi. Quindi calcolando un prezzo di mercato dei fiori di canapa andava dai venti ai cinquanta franchi.

OCI: Ed è un prezzo tanto diverso dal mercato nero?

ORLANDO: No, il prezzo è uguale

OCI: Incontro anche Sabri, anche lei ha lavorato sin da giovanissima in diversi canapai del cantone, e se li ricorda bene questi, chiamiamoli, potpourri…

S: Erano i sacchetti profumati, che arrivavano per posta… tramite i dispo-box. Un odore incredibile, quando arrivavano dalla Svizzera interna. E dopo abbiamo iniziato a fare i sacchetti, a farli noi i sacchetti con le etichette giuste del negozio. C’erano quello da cento, c’era quello da cinquanta.

OCI: E ti ricordi un po’ di nomi di varietà che giravano?

S: Eh, beh si a parte le classiche: la “White widow”, la “Skunk”, poi però anche noi davamo nomi particolari, quando la prendevi e la infilavi: “Dream” qualcosa….

OCI: Ma erano nomi un po’ inventati?

S: Erano nomi inventati, sì: la “Purple”, la “White Widow”. C’erano periodi in cui avevamo quindici qualità di sacchettini diverse da poter scegliere.

OCI: E se ne vendevano tanti?

S: Beh, sì, certo, c’erano tanti soldi. Sì, effettivamente come giovinetti, a vent’anni avevamo avuto la fortuna che tutti avevano un lavoro, tutti avevano soldi per poter viaggiare, fare. Se ne facevano parecchi. Adesso non saprei dirti esattamente perché ho un po’ i ricordi annebbiati: sia per un altro motivo, sia perché è passato tanto tempo.

OCI: Il successo rapido e dirompente di questi negozi coglie tutti impreparati.

ORLANDO: Un giorno a mezzogiorno come sempre chiudiamo il negozio, mangiamo e al ritorno vediamo una fila di persone, una colonna molto ordinata. Ci siamo detti: cosa ci fa tutta sta gente, da dove arriva, cosa aspettano? E a un certo punto con sorpresa capiamo che aspettavano che aprissimo il negozio. All’inizio quando siamo stati i primi, ed eravamo i soli a venderlo, si facevano tra i dieci e i quindici mila franchi al giorno. Poi quando gli altri hanno visto l’andazzo e la richiesta hanno iniziato a vendere in tutto il Ticino. Da parte nostra è stata una cosa relativa nel senso che è stato di un breve periodo, a queste cifre e queste dimensioni forse per un anno. E oltretutto noi credendo molto in quello che stavamo facendo abbiamo reinvestito tutto. Tant’è vero che poi nel ‘97 abbiamo aperto Lugano, nel ‘98 saint Moritz e nel ‘99 a Milano.

VENTURELLI: E poi ne aprivano un altro e poi un altro e poi un altro e alla fine ce n’erano settantacinque di cui ventidue a Chiasso. E da lì è partito tutto quello che è successo, non voglio chiamarlo disastro, ma io lo chiamerei opportunità mancata. Nel senso che se invece di usare la politica dello struzzo, ci fossimo occupati di questa cosa, avremmo avuto molti vantaggi limitando gli svantaggi. Invece così ci siamo beccati solo gli svantaggi.

OCI: L’erba era dappertutto ed era davvero facile procurarsela. Costava poco e nei negozietti non ti facevano storie. Anzi ti facevano la carta fedeltà: dieci sacchetti profumati, uno in omaggio. E il fatto di non essere maggiorenne tranne in qualche negozio, non era un problema, in fondo si trattava soltanto di profumare gli armadi…

AMICO: C’era odore di ganja dappertutto in città. Si andava al Parco Ciani c’erano gli italiani che arrivavano, avevano comprato la ganja da portare in Italia, fumavano, andavano in panico e ti regalavano la ganja. Si fumava dappertutto, era diventato iperpresente il consumo di ganja. Magari è anche dato dal nostro giro di amici che specificamente si fumava le canne, magari sai una cosa tira l’altra quindi ci si aggrega per interesse e quindi c’era l’interesse di passare del tempo “stoni” e quindi tutti passavano del tempo “stoni” insieme. Soggettivamente parlando quindi a me sembra che quel periodo lì è stato un periodo in cui tutti fumavano le canne. Ma di fatto non penso che fosse così.

OCI: Nel tempo, per me, il consumo di canapa è diventato sempre più regolare e frequente, ma ho l’impressione che fosse così per buona parte della mia cerchia di amici. Fumavamo il venerdì, il sabato. La sera dopo scuola, prima di dormire, la canna della buona-notte, la mattina prima di andare a lezione. In gruppo, da solo. In montagna, al lago. E tutta questa canapa comprata generava sicuramente guadagni milionari.

OCI: Più o meno a quanto compravate dai coltivatori, non so che margine di guadagno c’era? Non so come si può calcolare?

BARGHINI: È difficile calcolarlo perché a volte si comprava piante, oppure si affittavano le serre. Più tardi, poi, noi affittavano le serre. Il margine, dal costo al dettaglio, era uno a sei, più o meno. Con la canapa c’era la possibilità – parliamoci chiaro – di fare soldi. Questo lo abbiamo visto subito e quando si cavalca quell’onda lì che cominciano a entrare i veri soldi, è chiaro che si sta tutti bene, si fanno belle cene, belle feste. Un bel periodo, bel periodo!

OCI: E non dava un po’ alla testa, quella ricchezza così caduta dal cielo molto in fretta?

S: Ma sì, dipende dalle persone, sicuramente. Tipo dei fornitori, non so se erano quelli che facevano semi o chi altro, avevano comprato un’isola.

OCI: MI puoi raccontare un po’ il livello di questa situazione?

VENTURELLI: No, non posso perché è inimmaginabile. Questa gente, questo me lo ricordo perfettamente, girava con una ventiquattrore piena di biglietti da 1000 franchi, perché sia mai che incontro uno che c’era da vendermi 100 chili di erba buona devo avere il cash per poterla pagare. E io mi ricordo un sacco di gente che girava con queste valigette e c’era dentro circa 1.000.000 di franchi. Voglio dire girava tantissimo cash in quell’ambito, io ricordo due tizi, che avevano un canapaio e il loro fiscalista gli disse: signori spendete qualcosa perché qui pagate l’ira di Dio di tasse. Erano in giro a cercare due Ferrari come disperati per poterle mettere nella dichiarazione delle imposte. Una Ferrari non costa 100.000 franchi, ne costa parecchi di più. Io mi ricordo il direttore di un ente turistico che mi diceva che quando c’erano i canapai non trovavi una camera libera a Lugano durante il weekend, perché venivano tutti qui a fumare. Quindi spendevano. Quindi c’era un indotto enorme dai canapai. E l’altra cosa importante è stato che quel mercato lì ha permesso a tanta gente che avrebbe avuto problemi a lavorare altrove, a trovarsi un lavoro. Quindi, da un certo punto di vista c’era un aspetto sociale che era estremamente interessante, perché a me se tu sei strafatto per pulire l’erba, va bene lo stesso. Basta che pulisci l’erba, ma in ufficio non ti posso tenere se sei strafatto.

OCI: Questo è solo l’inizio di questo racconto, il racconto di un’epoca, vent‘anni fa, in cui il Ticino sembrava Amsterdam e si poteva fumare erba, in maniera tollerata, praticamente dappertutto. Ancora oggi, mi capita di incontrare in giro per l’Europa vecchi hippy, con la chitarra, che quando dici di venire da Lugano, ti chiedono: e i canapai?

 


EP 2 – LO SAPEVANO ANCHE I PARACARRI

OCI: Di quegli stupefacenti anni zero ho un ricordo un po’ confuso. Quello che però so con certezza, è di aver fumato erba con regolarità e costanza, anche perché erano gli anni dei canapai. L’erba si trovava dappertutto, abbondante, di qualità e a basso prezzo. Era un paradiso.

Musica: Villa Ada Posse, fumo tanta erba…

OCI: Io frequentavo la “prope” a Canobbio, un paesino poco distante da Lugano, la “prope” era una scuola preparatoria alle professioni sociali e sanitarie. Sapevo che non sarei diventato infermiere, ma forse assistente sociale o educatore potevano essere lavori da prendere in considerazione. Ma soprattutto la “prope”, in quegli anni, era conosciuta per essere la scuola degli alternativi o, secondo i più maliziosi, “dei fattoni”. Si sapeva che non ci si doveva impegnare troppo, si finiva presto e c’erano un sacco di ragazze. Non ne sono orgoglioso, ma sono stati questi gli elementi che mi hanno spinto a scegliere questa formazione. E penso che in fondo non sia stata una cattiva scelta. Per me è stata un’esperienza importante. Mi porto dietro qualche lacuna culturale, ma ho vissuto bene la mia adolescenza.

Radiotelevisione Svizzera presenta: QUEGLI STUPEFACENTI ANNI ZERO. Un podcast originale di Olmo Cerri. Secondo episodio: Lo sapevano anche i paracarri.

OCI: Alla Prope c’era un angolo un po’ discosto del piazzale con una tettoia di cemento, un luogo protetto dal vento, dove si fumava liberamente. Drum, sigarette, ma soprattutto canne.

ESTRATTO RSI: giornalista: si è avvicinato il gruppetto di ragazzi che secondo quanto ci è stato riferito fuma canapa. Per ovvi motivi le voci di questi 14enni sono state camuffate
Hai fumato? si, no no si. Anche a scuola avete fumato? si. E qualcuno si è accorto? no no

OCI: Il consumo di canapa (o ganja come la chiamavamo) era sotto gli occhi di tutti, non si faceva nulla per nasconderlo. Non c’era la percezione che fosse una cosa poi così proibita. I volantini di prevenzione distribuiti, stampati su ottimo cartoncino leggero, venivano usati per farci i filtri. Dai docenti e dalla direzione non ricordo grandi richiami….

ESTRATTO RSI: Ti senti diversa, ti senti se ti prende proprio la stona ti senti tipo in paradiso, vedi tutto sul … non so quest’albero lo vedi tutto bello verde…

OCI: Spesso durante la pausa pranzo si faceva una colletta e qualcuno con lo scooter o con il motorino scendeva in centro, in un canapaio, a fare un acquisto collettivo. Una deca, un ventello, un cinquantello o centello. E multipli. A seconda di quanti eravamo, di quante ore buche ci fossero e di che materie ci aspettassero nel pomeriggio. Uno dei canapai di riferimento, non lontano dalle scuole, era in piazza Molino Nuovo…

OCI: E tu quando hai iniziato a lavorare nei negozi invece?

L: Nel ‘99, vendevamo ovviamente sacchetti profumati. E poi vendevamo tutta l’oggettistica per fumare, quindi: cilum, filtri in ceramica, filtri di tutti i tipi, vendevamo i posacenere a forma di foglia, lo “strusometro”. Vendevamo oggettistica bong, poster, scatole, scatolette.

OCI: Però il grosso del mercato era…

L: Mais bien sûr!

OCI: Ed era tuo o ci lavorarvi soltanto?

L: No, no. Io ero dipendente e noi facevamo le venditrici.

OCI: E tu avevi un contratto legale, ti pagavano gli oneri sociali, cioè era proprio una cosa regolata…?

L Sì, sì, dichiarato assolutamente, tutto alla luce del sole. E mentre eravamo lì… li vedevi aprire. Ogni settimana quasi apriva un negozio nuovo e all’inizio era tutta gente che ne sapeva qualcosa. Alla fine ha aperto gente solo perché vedeva una possibilità di guadagno …

L: C’era il Popeye, c’era il Verde-oro, c’era il Re Nudo, c’era il Mystic, c’era il Biosfera, c’era… mamma mia, ce n’erano un sacco!

OCI: A Lugano, Locarno, Chiasso, Mendrisio e Bellinzona ce ne erano in ogni angolo… ma stavano iniziando ad aprire anche fuori dai centri principali. I canapai erano arrivati in Ticino in un periodo in cui il problema dell’eroina era ancora molto sentito. Solo l’anno precedente all‘apertura del primo negozio, nel 1995, il giorno di San Valentino era stato chiuso il Letten di Zurigo, una grande area ferroviaria dismessa, ultima “scena aperta” della droga in Svizzera. Solo tre anni prima invece era stato sgomberato il Platzspitz, frequentato per anni da centinaia di tossicodipendenti, anche ticinesi. Senza dubbio nella mia testa c’erano quelle immagini al telegiornale, centinaia di persone accalcate, primi piani sulle siringhe piantate negli avambracci, quasi che immagini così dure trasmesse subito dopo cena, dovessero servire da monito per tutti gli altri…

ESTRATTO RSI: Eros Costantini: Dai due ai tremila tossicodipendenti visitano settimanalmente questo parco. Nessuno sa come cancellare questa vergogna. C’è chi la denuncia, chi la minimizza e chi la relativizza. Come dire tanto non c’è nulla da fare per chi ha scelto tale via. Anche fra le autorità ci sono ampie divergenze…

OCI: Questa situazione di emergenza, che aveva toccato fortemente l’opinione pubblica, aveva portato alla “politica dei 4 pilastri” in materia di droga: non più soltanto repressione ma anche prevenzione, terapia e riduzione del danno. Si capiva che la questione della droga non poteva essere affrontata soltanto con la polizia, occorreva trovare nuove strade…

ESTRATTO RSI Di una liberalizzazione della droga ispirata a quanto avviene pare con risvolti positivi in Olanda, sta creando ulteriori tensioni politiche e tra l’opinione pubblica zurighesi.

OCI: Io mi ricordo da bambino, negli anni ‘90, prima dei canapai, prima ancora della capanna sull’albero, fra i cartoni di Bimb Bum Bam su Canale 5, passavano le campagne contro l’AIDS, in bianco e nero, in cui si vedeva un uomo circondata da un alone violaceo.

L’AIDS non si vede ma sta crescendo. perché si trasmette non solo attraverso sangue infetto per esempio passandosi la stessa siringa…

OCI: E man mano che l‘uomo con l’alone violaceo si avvicinava alle altre persone passava il colore e il contagio.

ESTRATTO: aids: se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide.

(Sigla Duck Tales)

C’erano anche le campagne antidroga su Topolino, con i primi piani di ragazzi senza più le pupille. Con gli occhi bianchi. Chi ti droga ti spegne, dicevano.

Un’amica di mia nonna aveva un figlio che si diceva si drogasse. Io me lo sognavo senza pupille e poi sognavo decine di siringhe, appoggiate tutte in fila con l’ago sguainato, sul pianerottolo della casa dei nonni.

(suono campanella scuola che interrompe la sigla dei DuckTales)
(canto delle monache benedettine)

Per raggiungere le scuole elementari bisogna passare accanto alla cappella dedicata alla Madonna di Lourdes, mi ricordo benissimo quando abbiamo trovato proprio lì, vicino alla fontana, una siringa. Era la prima che vedevo dal vero. Un compagno della mia classe, l’aveva raccolta con coraggio e l’aveva gettata in un tombino, contravvenendo alla regola aurea che ci era stata impartita e ripetuta all’ossessione di non toccare mai e poi mai né siringhe né proiettili inesplosi.

Nel caso dei proiettili sarei stato comunque pronto a segnalarne la presenza annodando un fazzoletto ad un bastoncino da piantare nei dintorni del materiale esplosivo. Con le siringhe non avevo un protocollo così chiaro che mi avrebbe potuto togliere d’impaccio.
Eppure di siringhe, negli anni, se ne sono viste parecchie, proiettili inesplosi mai.

ESTRATTO RSI: siringhe nei parchi

Ricordo anche che aveva iniziato a girare un foglio anonimo (dalla qualità della stampa sembrava la fotocopia di una fotocopia per parecchie generazioni) che metteva in guardia dalla presenza di persone che distribuivano davanti alle scuole delle decalcomanie, noi le chiamavamo “i tatuaggi”, imbevuti di droga. Bisognava in particolare stare attenti a quelli che riportavano una stella rossa o l‘immagine di Garfield. Sarebbe bastato mettere uno di questi tatuaggi, che si fissavano alla pelle con la saliva, per finire nel tunnel della tossicodipendenza. Stella rossa e Garfields. Attenzione.

Probabilmente questa fotocopia, era una bufala ante litteram, chissà com’era arrivata alle mamme di Sonvico. Sta di fatto che droga e AIDS erano dei temi che da bambino mi preoccupavano e di cui sentivo parlare spesso.

ESTRATTO RSI: Speciale sera, il Ticino e la droga. Parte prima. Parlare di droga nel Cantone Ticino secondo taluni è come parlare della corda nella casa dell’impiccato, tanto questo fenomeno sembra ormai essersi assimilato alla nostra popolazione ed alla gioventù in particolare. Occorre ancora premettere che di droga si parla per la prima volta in Ticino nel 1969. Per fronteggiare il fenomeno viene istituita nel 1972 un’équipe assistenziale nel Sottoceneri. L’anno successivo sarà la volta del Sopraceneri

OCI: Fra i primi operatori di strada ad occuparsi di tossicodipendenza, c’era anche Fausto Beretta Piccoli che però tutti conoscono come “il Gerri”. Impegnato in politica, ma anche nel mondo del teatro e della cultura. Lo vado ad incontrare nella sua casa di Molino Nuovo perché spero possa parlarmi della situazione della canapa in Ticino negli anni ‘70.

OCI: Ciao Gerri, sono l’Olmo… sono qui sotto, non trovo il campanello… ok salgo!

Classe 1946, poco più che vent’enne nel ‘68. Lui, la storia dell’arrivo delle droghe, l’ha vissuta in prima persona e non solo per motivi professionali…

GERRI BERETTA PICCOLI: Quando ho fatto tre anni di autostop, in giro fumavo molto. E a Parigi vendevo ma vendevo i dadi Maggi. Avevo il fumo buono che facevo annusare e poi vendevo i dadi Maggi e dicevo “Però non aprirlo. Qui vai lontano” e poi sparivo…

Mi piacerebbe molto farmi raccontare come ci si procurava l’erba in Ticino prima che aprissero i canapai.

GERRI BERETTA PICCOLI: L’hashish era veramente molto, molto più presente che l’erba. Quando c’era l’erba era un po la torta della domenica. Ecco. Il fumo: o Zurigo o Milano. A Milano era a Brera e su a Zurigo era gente ticinese che andava su a prenderla.

OCI: E per andare a Milano, a Brera, come vi organizzate?

GERRI BERETTA PICCOLI: Pochi avevano l’auto. Eravamo in tre o quattro che avevamo degli scooter, andavamo in scooter facendo la statale… un’avventura! Non c’era ancora neanche la superstrada, ecco. Però a Milano c’è la dogana di mezzo: quello più mal vestito che poteva tirarne l’occhio passava a piedi, senza niente. Io avevo i capelli lunghi, li tiri dentro e non tiri giù il casco perché altrimenti se avevi i capelli lunghi eri fottuto. L’altro invece passa coi capelli lunghi, visivi e così fermavano quell’altro…

Con sottofondo: Jimi Hendrix

Qui se a Lugano tu fumavi, andavi a casa, tiravi giù le tapparelle, mettevi le luci soffuse in camera chiusa, sperando che i genitori, se uno stava in casa con i genitori non … chi aveva l’appartamento senza genitori, era molto frequentato quell’appartamento li. Si metteva su un po’ di musica – Jimi Hendrix o il John Coltrane, specialmente con Love Supreme – stavi lì pippavi e si dormiva, ti addormentavi lì…

OCI: Un luogo ricordato da tanti per il consumo di sostanze era il Pedrini, il Pedro (per gli amici), accanto al quartiere Maghetti, dove ancora oggi, tra un gelato pinguino e un veleno, si intravedono fra i tavoli esponenti della vita alternativa luganese degli anni ‘70 e ‘80. I sopravvissuti almeno.

GERRI BERETTA PICCOLI: Lì al Pedrinis erano lì fuori, però li lasciavano entrare e stavano sempre nel solito angolo. Le due panchine erano per i tossici perché c’erano le panchine tipo treno e lì era il posto dei disperati.

OCI: E poi quasi a Paradiso, in via Domenico Fontana., c’era il mitico bar Nino.

GERRI BERETTA PICCOLI: Il Bar Nino era, una volta, era proprio una balera dove si andava a ballare, e c’era una bella sala con il camino, con una stufa. E c’erano due personaggi, il Nino e quello che aveva, credo la patente. E poi c’era Ricky, che era quello molto più umano, una persona molto carina. E giù al bar Nino ti faceva i sandwich, ma erano sandwich…. non era la baguette: era il pane da quello da un chilo, li tagliava a tre. Se ti capitavano i due culetti era meglio altrimenti ti capitava la parte centrale e ci metteva dentro un strato di salame, uno strato di prosciutto e uno strato di formaggio. E tu mangiavi, ecco. E poi nella cucina si poteva giocare a carte, e c’era giù un po’ di tutto, là vicino alla stufetta c’erano i cosiddetti tossici, quelli proprio… e nessuno si rompeva le balle. Si poteva organizzare concerti, si poteva organizzare dei piccoli teatri. Così ho fatto venire un attore del living teatro che alla fine si buca in sala. Però lui aveva preso, nella siringa metteva la vitamina B, credo, perché era un po’ colorata e lui finiva col braccio, con la siringa dentro. C’era sempre qualcuno che andava a tirargli fuori la siringa.

(Estratto: Living Theatre: Paradise Now)

OCI: Fino all’apertura dei primi canapai, droghe pesanti e leggere rimanevano un mercato unico e indistinto. Un mercato promiscuo, dove trovavi le une, spesso e volentieri trovavi anche le altre. Orlando, proprietario del Biosfera, si ricorda bene com’era negli anni ‘90.

ORLANDO: In quegli anni lì, a Zurigo, c’era da una parte il Platzspitz dove c’erano gli eroinomani. Ma fuori dal parco, sulla strada c’erano invece i venditori di droghe leggere, hashish e marijuana, che lo vendevano a cielo aperto. Erano lì con le panette sulla strada, quanti etti vuoi: due, tre, cinque. Noi avevamo quindici o sedici anni, si faceva la colletta, ah sì, tu sei interessato, sì quanto vuoi? Poi un paio di noi andavano a Zurigo, facevano acquisti e poi tornavamo in Ticino. Ah sì una volta che per curiosità, quasi quasi vado a dare un’occhiata dentro nel Platzspitz e guardo e mi vedo una persona che mi viene incontro, che stava per uscire con la siringa dietro l’orecchio e non so per quale motivo mi ha ricordato il fruttivendolo di Ponte Tresa con la matita che marca sul sacchetto di carta l’importo della frutta che ti ha venduto…

OCI: Quindi c’era una vicinanza stretta fra droghe leggere e droghe pesanti…

ORLANDO: Assolutamente, cosa che oltretutto mi dava anche “fastidio”, tutti noi a sedici o diciassette anni, andavamo dal nostro pusher, dal nostro spacciatore e capitava che magari una volta ti diceva se ti interessa ho anche un po’ di cocaina. È un po’ sempre il solito discorso, nel senso che tutti dicono che chiunque usa l’eroina ha iniziato con la canapa. Va bene. Però devi calcolarla anche dall’altro punto di vista: non tutti quelli che hanno iniziato a fumare cannabis sono finiti a consumare eroina.

OCI: Sentendo queste testimonianze di chi aveva vissuto il mondo della canapa nelle generazioni prima della mia mi colpisce il fatto di questa vicinanza, fra droghe pesanti e droghe leggere. Io, forse (anche) grazie alla presenza dei canapai, non ho mai avuto bisogno di rivolgermi al mercato nero e nessuno mi ha mai proposto accanto all’erba delle droghe più pericolose.

ORLANDO: Perché all’interno dei negozi c’era un mercato esclusivamente e solamente di canapa e derivati. Ma non c’erano le cosiddette droghe dure: eroina, cocaina. Nessun canapaio in Ticino vendeva questo.

OCI: E dell’importanza della separazione di questi due mercati ne è convinto anche il criminologo Michel Venturelli.

VENTURELLI: È questa la riduzione del danno: è essere pragmatici. Cioè lo so che posso essere interpretato male, ma io penso che se un giovane fuma, anche se è minorenne, allora è meglio dargliela, perché sennò deve farsela con i delinquenti ed è questo che è un problema. Non è tanto l’erba ma quello che gli gira intorno, è un mercato estremamente criminogeno…

ESTRATTO RSI giornalista
Per parlare di canapa occorre chiarire la situazione legislativa. Una situazione in divenire poiché è in atto una revisione della legge federale sugli stupefacenti che risale al 1951.

OCI: Insomma, i canapai arrivano in Ticino in un periodo di transizione, in cui è in corso un dibattito pubblico con opinioni anche molto contrastanti.

ESTRATTO RSI: Le proposte messe in consultazione a Berna prevedevano diversi scenari accomunati dal concetto di depenalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti, di canapa in particolare, considerato il diverso grado di accettazione sociale di questa sostanza maturato negli ultimi decenni.

OCI: Secondo molti la depenalizzazione delle droghe leggere è ormai alle porte.

ESTRATTO RSI: Non si tratta di liberalizzare il consumo di droghe ma di proporre una politica che non consideri più solo le sostanze ma il problema della dipendenza da sostanze. Politica condivisa in Ticino sia dal gruppo di esperti in materia di tossicodipendenze, sia dal Consiglio di Stato.

È questa la situazione confusa in cui, a partire dal 1996, aprono in Ticino i canapai. Negozi in cui si vendono sacchetti profumati, canapa, apparentemente non per fumare ma per profumare gli armadi. Ma questo alibi sembra reggere sempre meno.

ESTRATTO: RSI 1999
giornalista: I sacchetti profumati, me li fai vedere?
canapaio: Certo!
Giornalista: Quanti grammi sono?
canapaio: Due.
giornalista: A quanto li vendete?
canapaio: Questi a 20 franchi.
giornalista: L’uso che viene fatto di questa erba si può dichiarare?
canapaio: Bho, sinceramente cioè si sa che non va a finire nell’armadio mi sembra ipocrita dire sempre la stessa cosa, si sa che la gente lo fuma, poi c’è effettivamente chi lo mette nell’armadio ma diciamo la maggior parte viene consumata…

ORLANDO: Diventa difficile essere credibili nel dire: no, no, io sono convinto che tutti i sacchetti profumati che ho venduto sono finiti negli armadi ticinesi e che gli armadi ticinesi sono stracolmi di sacchetti profumati. Come diceva alla fine sempre il Procuratore Perugini: lo sapevano anche i paracarri.

OCI: “Lo sapevano anche i paracarri”, perché il commercio di canapa non era nascosto, era alla luce del giorno. La canapa era trattata come qualsiasi altra merce.

ORLANDO: Si fatturava, si pagava l’IVA su questi sacchetti profumati. Addirittura una volta abbiamo subito un furto e siamo andati in polizia a dichiarare il furto. Perché abbiamo chiamato l’assicurazione e l’assicurazione ha detto: ok, dovete fare una denuncia in polizia. E poi, quando la polizia chiuderà l’inchiesta, noi provvederemo a rimborsarvi quello che vi è stato rubato. Così abbiamo fatto. Dopo qualche mese ci ha contattato l’assicurazione dicendo: sì, sì, ci ha contattato la polizia, ci ha detto che il caso è chiuso. Dateci il vostro conto corrente che provvederemo a rimborsarvi quello che vi hanno rubato.

BARGHINI: Una notte venivo dalla Svizzera tedesca, avevo un Mercedes Vito pieno di canapa da pulire. Avevo comprato l’outdoor e qui alla galleria del Monte Ceneri c’era un controllo di polizia. Alle due di notte, mi fermarono, gli diedi i documenti e il poliziotto mi disse eh ma cos’è quest’odore? E dissi canapa, cannabis. Gli ho dato il bigliettino; ah lei è quello..?! Sì, sì! Mi controlla le gomme, mi controlla il mezzo, mi ridà i documenti e buonanotte

VENTURELLI: I canapai erano dichiarati, pagavano le tasse, pagavano l’IVA, a pulire l’erba glieli mandava addirittura l’Ufficio del Lavoro. Più legale di così, cosa vuoi?

OCI: Certo che si fa fatica a credere a questi racconti. Poi però riascolto una trasmissione radiofonica del 1998, in cui parla il procuratore generale Luca Marcellini. Nella sua voce si percepisce addirittura un velo di ironia mentre risponde alle domande del giornalista.

ESTRATTO RSI: Diventa difficile poi, nel caso concreto, provare che quella ben precisa canapa, venduta in quella ben precisa forma, verrà utilizzata in un certo modo. Cioè verrà fumata verrà usata come sostanza stupefacente. Lo possiamo tranquillamente pensare, lo possono tranquillamente pensare tutti. Sarà sicuramente così, ma la prova il più delle volte manca.

VENTURELLI: la polizia doveva aspettare la gente che usciva dal negozio e quando ne avevano un certo numero che dicevano “Sì la fumo”, allora potevano esserci rogne. Ma chi è quell’asino che dice “Sì la fumo”, quando ho comprato un sacchetto dove c’è scritto in grande così che non bisogna fumarla? Quindi le inchieste erano estremamente complicate. All’inizio io ho l’impressione che sono stati veramente presi alla sprovvista.

OCI: E se per quanto riguarda i sacchetti profumati ci poteva forse quindi essere qualche dubbio, una cosa era chiara: non era possibile produrre e vendere hashish, il fumo, il pot. La resina secreta dalla pianta della canapa che viene poi essiccata e fumata.

VENTURELLI: Nella legge c’è scritto che con la canapa puoi far tutto quello che vuoi tranne che degli stupefacenti. Fra parentesi c’è scritto: “in particolare l’hashish”. Quindi è ovvio che l’hashish, non lo puoi produrre.

ORLANDO: Ecco il motivo per cui la maggior parte dei canapai non aveva l’hashish poi uno dei canapai si è inventato il tallero di hashish e per fare in modo che poi non si potesse in teoria consumare, l’ha messo in una confezione trasparente, quasi indistruttibile. Per aprirlo dovevi prenderlo a martellate.

OCI: E con che scusa lo vendevano? Cosa sarebbe dovuto servire questo tallero?

ORLANDO: Tallero da collezione, come chi colleziona monete, c’è il collezionista di talleri.

L: Noi facevamo i talleri con il fumo, ma così… e gli davamo una forma un po’ rotonda, e li mettevamo nei sacchetti e li vendevamo così, ed era “charas”, li vendevamo cosi senza stampo ne niente…

OCI: Erano dei pezzi di fumo?

L: Erano dei pezzi di fumo fatti su “a tallero” così…

VENTURELLI: Avevo un cliente che mi diceva: il mio concorrente che vende i talleri di hashish e questo a me porta via un sacco di clienti. Voglio produrre anch’io i talleri. Ho detto va bene, senti, io conosco uno che è capo dell’antidroga, andiamo da lui e ne discutiamo. Il mio cliente tira fuori uno “sgnocco” di 50-60 grammi di fumo e gli mette ‘sto gnocco di hashish sul tavolo e gli dice “ma lo posso produrre?” E questo gli dice: “Non lo so”. E poi mi fa un gran discorso sul fatto che avevano una paura terribile, le autorità, di prendersi delle denunce, poi di dover pagare dei danni. Era questo il clima.

OCI: E in questo clima confuso, il “”Re della Canapa”” Luca Barghini, si spinge oltre. Io non ci sono mai stato, ma ne ho sentito parlare, come di un luogo mitico: il Flower Power Club in via Volta a Chiasso…

BARGHINI: Chiasso era…cresceva giorno per giorno. Ogni sabato facevamo record, avevamo la qualità. poi c’avevamo questo allestimento. Era bellissimo, una bella location e in più io capii che il problema per gli italiani era arrivare in Svizzera entro le sei e mezza. L’orario di chiusura dei negozi svizzeri per l’italiano non va bene. Allora ebbi l’idea di avere davanti il negozio e dietro c’avevo il bar, sicché alle 06:30 aprivo il bar. E lì andammo oltre, perché vendevamo anche il fumo. C’avevamo un nepalese che veniva da Zurigo, tramite l’ambasciata nepalese, tra l’altro. Ce l’avevamo raramente. Ci arrivava magri un chilo o due, quello era proprio il “chicchino” che davamo ai clienti. Ma cinque grammi che lo davamo a clienti, si parla di cinque grammi per volta, niente di che.

OCI: E quello passava del mercato illegale internazionale?

BARGHINI: Quello passava dal mercato illegale internazionale e andava a finire che noi lo tippavamo come whisky. Perché io tippavo tutto al bar. Infatti il bar faceva dei… a parte che già faceva tanto fatturato con la birra alla spina che facevamo, e poi il grande whisky, io sono sempre stato un grande amante di whisky e che sì, quando si vendeva un grammetto di quella roba lì era un bicchiere di whiskey a 25 franchi.

OCI: Però quello era chiaramente illegale…

BARGHINI: Lì era chiaramente illegale e infatti mi chiusero nel 2000, mi chiusero. Ma lì mi chiusero con l’accusa di aver venduto a dei minori che non era vero, non era assolutamente vero.

ESTRATTO RSI: Questa mattina a Chiasso, la polizia antidroga, su ordine della magistratura penale, ha fatto irruzione nel negozio Flower Power. Non si sa ancora se è pure scattato l’arresto dei proprietari. Sulla vicenda gli inquirenti preferiscono tenere il massimo riserbo.

OCI: Tutti questi guadagni erano dichiarati? Voi pagate l’IVA, le tasse?

BARGHINI: Diciamo che, lo posso dire tranquillamente oggi: allora la vendita al dettaglio era praticamente tutta dichiarata, poi chiaramente qualche cosina si faceva… ma non è che si facesse in nero perché la legge non ce lo permetteva: ossia se mi veniva uno che voleva due chili per portarlo chissà dove… non è che comprava un sacchettino per profumare di due chili, sicché è chiaro che quella lì, magari, quei soldi ce li mettevamo in tasca così. Ma questo era normale, secondo me. Poi, bene o male… non tutti.. però sicuramente qualcosina…

OCI: Tu ti senti un imprenditore comunque?

BARGHINI: Sì, sì. Assolutamente sì. Per noi era un’impresa. Il mio concetto è stato di creare Chiasso perché doveva essere il pilota per poi fare un franchising. Non dimentichiamoci che lì si parlava molto, già allora, della legalizzazione in Svizzera. Abbiamo anticipato i tempi perché comunque tutto intorno c’era questa sensazione che comunque i tempi fossero maturi.

ESTRATTO RSI: 1998 cambio legislativo
C’è da chiedersi dapprima che cosa vogliamo fare con questo consumo sempre maggiore di marijuana e hashish. Rendiamoci conto che è avvenuto un cambiamento sociale e quindi procediamo a regolamentare la produzione, la vendita, il consumo di queste sostanze che cominciano a essere effettivamente accettati a più livelli della società e in particolare quando regolamentiamo stiamo attenti all’accessibilità che i minorenni avranno a queste sostanze.

OCI: Antonio Gramsci, nel 1930, elabora il concetto di “interregno”. Dice che la crisi sta nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere, e in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. Ecco, i primi anni del millennio, quegli stupefacenti anni zero mi sembrano proprio un limbo sospeso tra una vecchia legge non più adatta ai tempi e una nuova visione del futuro ancora tutta da definire. In mezzo: il caos. E in mezzo a quel caos c’eravamo noi che stavano cercando di diventare adulti…

ORLANDO: In Svizzera sono arrivati diciamo le persone più importanti del settore, perché in quegli anni lì era il paese più libero a livello europeo con l’Olanda.

VENTURELLI: Era un giro dove veramente si facevano tanti tanti tanti soldi. gli svantaggi erano l’aspetto estremamente criminogeni che genera questo mercato, anche perché c’erano i canapai che vendevano i sacchettini e poi c’erano i canapai nel cui retrobottega si organizzavano i quintali ecco. Questo è stato… sai il Ticino esportava hashish e erba a Amsterdam. Nei coffeeshop di Amsterdam compravi una roba che si chiamava thai-cinesa…

 


EP3: LE BALLE D’ORO

In quegli stupefacenti anni zero, con il mio compagno di banco, ad un certo punto, avevamo anche fondato una band. E questa è l’unica registrazione rimasta del nostro cavallo di battaglia.
Suonavamo il grunge, o meglio, loro suonavano. Io gestivo il sito Internet. In rigoroso html, caricandolo sui primi server gratuiti con un ftp e la gracchiante connessione a 56k.

AMICO: La Shabby Band, cosa vuoi sapere della Shabby Band? Cosa ti ricordi della Shabby Band? Mi ricordo che vabbé, abbiamo iniziato e abbiamo iniziato a incontrarci, a suonare e abbiamo fatto anche un concerto. A un certo punto, l’unico concerto che abbiamo fatto, è stato divertente. Quella è una cosa che a me ha divertito molto. Bisognava fare i testi delle canzoni, tu facevi testi un po’ più politici e io quelli un po’ più esistenziali.

OCI: Ci chiamavamo “Shabby band”, shabby, trascurato, sciupato e abbiamo fatto un solo concerto, senza grande successo, al carnevale di Davesco.

AMICO: E vabbè, era interessante quella canzone lì sì, marijuana. Marijuana, sei la mia salvezza … era pensata per un pubblico di un certo tipo. In realtà non penso che vi riflettesse davvero il mio pensiero.

AMICO: Il momento di fuga dai problemi era il fumarsi le canne, e di per sé per me non era davvero così, anzi, spesso era l’opposto. Il fumare mi provocava di per sé anche tanti altri problemi. Era una recita di per sé, cioè noi volevamo fare questo gruppo grunge, quindi dovevamo vestirci un po’ male, avere la chitarra elettrica. Bisognava creare un personaggio del gruppo che doveva avere un’identità.

AMICO: Il grunge presupponeva l’essere capelli lunghi. L’essere comunque alternativi di base. Essere contrari. Quindi andavano molto bene testi politici comunque di critica, come comunque il consumo di droga finalizzato a sé stesso e quindi “Marijuana sei la mia salvezza” era proprio quello.

Radiotelevisione Svizzera presenta: QUEGLI STUPEFACENTI ANNI ZERO, un podcast originale di Olmo Cerri. Terzo episodio: Le balle d’oro.

OCI: Ti sei preparata proprio?

L: Mi sono preparata a dire vabbè, vedo l’Olmo, almeno gli porto un po’ di materiale cartaceo che ho, e poi due o tre foto, solo per darti un’idea nel senso….

OCI: Per preparare questo podcast nei mesi ho sentito decine di persone: venditori, coltivatori, istituzioni. Ma ho visto pochissime immagini. Oggi invece mi portano alcune fotografie, sono degli anni ‘90 e sono delle piantagioni incredibili, nel mendrisiotto.

L: È?
OCI: …si si sembra giungla?
L: Ma guarda veramente ripeto, erano robe… un bosco. E di fianco hai la coltivazione di mais e granoturco.

OCI: Sono delle fotografie abbastanza impressionanti, distese immense di canapa, una vera e propria foresta popolata da giovani sorridenti a torso nudo, cani e bambini.

L: Guarda, c’erano delle cime che ti colava la resina lungo il braccio. Io non ho mai più visto una cosa del genere in vita mia. Mai più! Era una roba assurda!

OCI : Piante davvero rigogliose, con il fusto di una quindicina di centimetri di diametro, alte diversi metri.

L: Sì, mmmmh, ma guarda che roba.
OCI: Che bosco! Dov’è che era?
L: Allora questo, se non sbaglio, era Rancate. Primo campo in Ticino, da quello che si sa, di queste dimensioni. E con permesso.
OCI: Ed era visibile?
L: Era nascosto se vuoi un po’ tra gli alberi. Così però non era nascosto, imboscato. Se uno ci passava lo vedeva.
OCI: E quante piante saranno state? Centinaia e centinaia?
L: Non te lo saprei dire sinceramente, 500? Non lo so questo.

OCI: Per rifornire le decine di negozi, per soddisfare gli appetiti di migliaia di consumatori, per l’esportazione e per il turismo serviva un sacco di erba. In quegli stupefacenti anni zero, ogni giorno venivano consumati in Ticino chili di canapa. Erano quindi necessari ettari di terreno.

OCI: Sembrano tutti felici guardando le foto…

L: Sono tutti felici. Poi a noi dicevano: voi sì, vi divertite, bello il lavoro così è vero, ci divertivamo e quello che vuoi, ma noi lavoravamo sedici ore al giorno. Comunque ci facevamo un culo così. E non era solo “spanarsi”, fumarsi le canne e basta! C’era veramente l’intenzione di fare qualcosa di buono.

OCI: E nessuno diceva niente?

L: Nessuno diceva niente in quel momento, anche lì. Mistero? Io non ti so dire, ma ti sembra possibile? Cioè, nessuno diceva niente?
AMICO: Comunque la cosa interessante anche del periodo dei canapai era tutto questo voler coltivare la ganja, autoprodotta.

OCI: Anche il mio compagno di banco, ad un certo punto, si era dato alla coltivazione di canapa.

AMICO: Non so se ricordi, ho costruito una piccola serra, avevo 15 anni, quindi l’ho costruita in legno con della plastica e dello scotch e ho piantato quindici piante dentro, che sono diventate grandissime e a un certo punto uscivano i rami dalla serra. Era diventato proprio una cosa grossa, e passava la polizia tutti i giorni a vedere, passavano via, guardavano ma non facevano niente…

OCI: Infatti mi ricordo una coltivazione tua, noi ci frequentavamo abbastanza e ad un certo punto tu mi hai portato in un posto, eravamo andati dentro dei rovi, c’era come un cunicolo, mi porti dentro a una piantagione gigantesca. Noi ci vedevamo spesso e mi dicevo, ma quando l’hai fatta? Ci vedevamo tanto e poi saltava fuori questa piantagione.

AMICO: Fare una piantagione in un roveto era piuttosto semplice, entrarvi con un forbicione, tagliavi un po’ il perimetro, scavavi un po’ con il piccone…e poi piantavi le talee. Era la parte più divertente, perché era un mix di di “non si può fare” e di “bisogna fare una cosa che funziona”: quindi sia a livello tecnico, che a livello di divertimento era molto bello.

OCI: Ho l’impressione che con il tempo, dopo un primo periodo di consumo molto ricreativo, le nostre abitudini fossero un po’ cambiate. Attingendo alla peggior retorica mistica a nostra disposizione e grazie a siti internet di dubbia affidabilità, con grande imprudenza ci improvvisavamo sciamani, psiconauti dicevamo.

OCI: Per me era davvero quasi spirituale. Come cosa? Soprattutto gli anni in cui andavamo in montagna erano come dei piccoli riti…

AMICO: Sì, appunto questa introspettività che ti da, abbinata però, secondo me, anche al periodo particolare dell’essere adolescenti, quindi del formarsi come identità, aveva una valenza spirituale si può dire. Infatti passavamo il tempo a decidere di andare a camminare in montagna facendo queste camminate lunghissime in cui ci si fumava una bella canna all’inizio, o un bong, o un cilum e poi si facevano chilometri e chilometri ad assaporare la bellezza della natura e nello stesso tempo a discutere di cose interessanti, piuttosto che…

OCI: Grazie ad un libretto di “Stampa Alternativa”, trovato chissà dove, ci siamo avvicinati all’amanita muscaria, il velenosissimo fungo rosso con i puntini bianchi, dalle presunte proprietà allucinogene, che solo per una botta di culo non ci ha spappolato per sempre fegato, reni e cervello.

AMICO: …e l’amanita muscaria era un’altra cosa, ma…

OCI: Ma quello era forse un po’ come dire, irresponsabile, quantomeno…

AMICO: E si proprio perché da una parte da una parte ci si vuole divertire. Dall’altra c’è, appunto, per me c’era la ricerca interiore, quindi l’utilizzo di sostanze psicotrope era un mezzo per andare a cercare e scoprire cose. L’amanita muscaria è stato una di queste cose qui. Dunque mi son mangiato questo pezzettino di Amanita e mi sono ritrovato improvvisamente in un mondo di allucinazioni potentissime e che comunque ci ho messo cinque o sei mesi di tempo a ritornare a una stabilità. Comunque mi svegliavo di notte, con la luna piena, è stato un po’ così imprudente. Però per me è stata un’esperienza importante, penso che tornando indietro nel tempo non è che cambierei le cose.

OCI: Ho l‘impressione che con il nostro gruppetto di amici ci siamo salvati, più o meno tutti, perché in qualche modo avevamo un certo rispetto per le sostanze. In maniera assolutamente ingenua cercavamo di fare una ricerca, di aprire le porte della percezione dicevamo, dei veri e propri viaggi rituali, nel bosco, con la luna piena. Le basi culturali non erano per nulla solide, facevamo dei mischioni teorici di Huxley, Castaneda in edizione economica e Hofmann e il suo bambino difficile scaricato da Internet, Sri Aurobindo e i volantini antiproibizionisti del Livello 57, ma anche Giovanni Lindo Ferretti e Battiato.

AMICO: Tu lo trovavi spirituale, anche tu?

OCI: Sì sì, per me lo era sicuramente e anche un po’ politica. Vedevo quelli che andavano al Temus, invece noi andavano in montagna…

AMICO: Sì, quello era la costruzione della propria posizione nei confronti degli altri, dell’alterità, della società e che, e questa è una bella domanda. Il consumo di canapa ha approfondito quell’aspetto oppure era semplicemente che succedeva, perché in quell’età ci si posiziona o ci si inizia a identificare con le cose? Io ho trovato che il consumo di canapa ha marcato maggiormente quel momento cioè lo ha reso più profondo, più e più incisivo.

OCI: E tu ti ricordi di me come uno scroccone? Perché io ho sempre avuto l’impressione che tu avessi spesso l’erba e io la fumavo spessissimo, però ne compravo molto poca, anche perché avevo pochi soldi.

AMICO: Sì, ma per me il consumo di ganja, il fatto che avevo abbastanza, un accesso quasi illimitato, quindi non non ero geloso della quantità di ganja. Per di più, comunque, la condivisione del fumarsi una canna era più importante di averla per sé. Quindi il consumo individuale, sì, ce l’avevo però in realtà, e a pensarci bene ero più un fumatore sociale che un fumatore autonomo. Quindi no, non ho mai fatto caso a chi ce l’aveva, chi no. Per me era un: c’è ganja, la metti lì e poi dopo vabbè, la si fuma e prima o poi finirà e bisognerà trovarne dell’altra.

OCI: E nei canapai non era difficile trovarne. Ma da dove veniva tutta questa canapa che si fumava in Ticino in quegli anni? Torniamo nei grigioni da Luca Barghini, il “Re della Canapa”…

OCI: Ad un certo punto hai coinvolto anche degli agricoltori ticinesi?

BARGHINI: Sì, sì. Si fece prima una coltivazione bio, tra l’altro sul piano di Magadino, una serra di mille metri, non era enorme, ma per cominciare. E lì capimmo che c’erano tanti problemi a coltivare: una cosa è coltivare tre o quattro piantine sul terrazzo. Un’altra cosa era coltivarla in serra, dove comunque nel periodo di raccolta qui c’è tanta umidità e noi il primo raccolto praticamente non abbiamo praticamente raccolto nulla. L’abbiamo buttato via tutto…,

OCI: Sono sul treno, sul Piano di Magadino, ho appuntamento con Marco e Cristina che, negli anni, hanno coltivato per il “Re della Canapa”.

Annuncio FFS: Sant Antonino

MARCO: Sono venuto a conoscenza che un parente stretto di mia moglie era in grosse difficoltà e abbiamo preso la decisione assieme di andare giù e fare qualcosa. Era un’azienda orticola bio ed era in grosse difficoltà. Piano piano abbiamo preso la produzione e abbiamo ripreso la fiducia delle banche e poi è arrivata “l’imboccata” della canapa.

OCI: La possibilità di coltivare canapa era chiaramente molto allettante, soprattutto per un’azienda in crisi. Marco e Cristina mi accolgono con gentilezza e dopo un po’ di titubanza iniziano a raccontare di come hanno iniziato con la canapa.

CRISTINA: Non avevamo esperienza, l’abbiamo fatta proprio con la pratica. Arrivando anche il “Re della Canapa”, che in quegli anni dove ha fatto una proposta di coltivazione. Lui avrebbe preso quello che era il prodotto finito e ci avrebbe seguito poi nei passaggi per quello che era la coltivazione, anche perché noi non ne sapevamo quasi nulla. Anche lui avrebbe avrebbe investito anche dei soldi per la manutenzione, appunto, che erano dei tunnel che erano da fare. Quindi ha partecipato anche lui finanziariamente, inizialmente, per poi dedurre chiaramente dal prodotto finale che lui ritirava.

OCI: Superata qualche prima difficoltà, la produzione inizia a funzionare a pieno regime.

MARCO: E niente abbiamo cominciato a fare il raccolto, abbiamo visto che i risultati erano buoni, abbiamo continuato ed era anche bello coltivarla perché è una pianta stupenda. Ma le piante e le piante più o meno erano sulle cinquemila, semila, settemila, magari, di cui tremila venivano poi fatte per fare oli eterici.

OCI: E che prezzi giravano?

MARCO : Il chilo pulito te lo pagavano anche due o tremila franchi e loro lo rivendevano al prezzo che gira sul mercato adesso.

OCI: Quindi facendoci un margine di guadagno altissimo?

MARCO: Noi produttori meno, perché noi avevamo comunque il lavoro, gli operai, insomma tutto… Loro praticamente come la Migros, la Coop: prendevano la cassetta di pomodori, la mettevano fuori e la vendevano a tre volte tanto.

CRISTINA: Ma sicuramente il fattore soldi: era un guadagno tra virgolette facile, anche perché non richiedeva un granché di lavoro e quindi sicuramente questo, penso io, sia stato il fattore decisivo.

OCI: Puoi fare una proporzione, rispetto a una coltivazione orticola classica e la canapa. Che proporzione di guadagno supplementare c’era?

CRISTINA: Un baratro. Era veramente… non c’è paragone.

BARGHINI: Diciamo che, per gli agricoltori, era una nuova possibilità. Ora io non so, non so dire quanto bene stessero prima. Non penso che la canapa sia quella che ha, che ha risolto tutti i problemi. Però con la canapa c’era la possibilità di parliamoci chiaro, di fare soldi. Questo l’abbiamo visto subito. E quando si cavalca quell’onda lì, quando cominciano a entrare i veri soldi, è chiaro che si sta tutti bene, si fa belle cene, belle feste. Chiaro.

MARCO: Cioè era una festa popolare, una festa famigliare, quando eravamo lì a lavorarla. Anche a fare le talee: c’era mia figlia che aveva… lei era del ‘90. Aveva sette o otto anni, faceva anche lei le talee. Era un bell’ambiente, si stava bene, poi c’era anche una bella atmosfera, con questa pianta attorno, ma non perché eravamo sballati o che so…. È stato un periodo, un periodo d’oro secondo me.

MARCO: Siamo andati in Olanda a fare un giro turistico. Ne abbiamo viste di tutti i colori. Per me era già troppo, ma troppo relativamente, troppo nel contesto che è proibito, perché col vino fanno poi la stessa cosa. No? Cioè anche il vino, i viticci, sacro, che buon vino, no? E noi abbiamo la buona canapa, il buon fumo. No?

BARGHINI: Quando si arrivò a pulirla tutta questa grande massa di fiori avevamo bisogno di tantissimo personale tant’è che ci siamo rivolti agli uffici della disoccupazione e li abbiamo svuotati.

CRISTINA: Mi ricordo che a Sementina c’era una piantagione dove la cassa di disoccupazione mandava i disoccupati a lavorare lì.

BARGHINI: Noi avevamo due turni, se non mi sbaglio, da ottanta o cento persone. Proprio l’ultimo che non aveva voglia di lavorare, quando sapeva che si trattava di venire a pulire la cannabis: a corsa, venivano tutti!

Archivio RSI – Masoni: Negli ultimi anni gli Uffici Regionali di Collocamento hanno collocato complessivamente cinquantun cercatori di impiego, prevalentemente come operai, nella raccolta presso piantagioni sul Piano di Magadino.

MARCO: Noi facevamo poi un lavoro che inconsciamente sapevamo che doveva poi finire in un joint.

OCI: Però quando funzionava questa coltivazione, era in qualche modo dichiarato?

MARCO: Ma certamente io facevo fare i bilanci dell’azienda e tutto. C’era dentro tutto, per filo e per segno. Cioè non fare il nero in quel caso lì sarebbe come tirarsi una una picconata su un piede, che se ti beccano ti rivoltano come un calzino. Se invece tu li fai vedere, guardate, io l’ho fatto… io l’ho fatto però è qua da vedere. Se fai quella canapa lì, la pulisce di prima, ti fai un negozietto, affitti un negozietto, comincia a venderla, la vendi a prezzo pieno, ti fai le balle d’oro. No?

OCI: Ancora un paio di fermate di TiLo fino a Giubiasco. In una decina di minuti a piedi sotto una leggera pioggia estiva arrivo alla Floricoltura Martinelli di Sementina. È un’azienda molto grande e strutturata.

MARTINELLI: Che cosa vuoi? Grappa o latte?

OCI: No, va bene così: nero..

Mi accoglie il signor Martinelli, da ogni parola che usa si capisce che è fiero del proprio lavoro.

MARTINELLI: Tra l’altro come ti dico, per me la piante di canapa è una bella pianta. Mi piace anche lavorarla e devo premettere: non sono un fumatore, mai provato lo spinello quindi. Oggi ho 68 anni, ma non ho mai fumato uno spinello.

OCI: L’azienda Martinelli è specializzata da anni nella produzione di fiori, migliaia di piante di geranio per i balconi, una media di quindicimila vasi di crisantemi l’anno per i giorni dei morti da vendere nei grandi magazzini del cantone e poi viole, ciclamini e petunie per i privati e per le aiuole di molti comuni ticinesi.

OCI: L’hai fondata te l’azienda o era già della tua famiglia?

MARTINELLI: Era orticoltore mio padre, faceva verdure, però mio padre è morto, che aveva 47 anni e io avevo 17 anni. Dopo ha iniziato mio fratello e a diciotto anni ho preso in mano io l’azienda. Ma non c’era una serra, non c’era niente, c’erano due vecchi magazzini e mi son messo a testa bassa, costruito tutto.

OCI: Un impero…

MARTINELLI: Ho fatto tutto io e mio fratello, non da solo.

OCI: Sei orgoglioso?

MARTINELLI: Ma orgoglioso sì, perché io a vent’anni sognavo la mia azienda, e io ho iniziato con 500.000 franchi di ipoteca che mio padre ha lasciato, senza un soldo in tasca. Sono riuscito a costruire un’azienda che oggi può valere cinque milioni.

OCI: Ma come è successo che la storica floricultura Martinelli si sia buttata nel business della canapa diventando forse la più importante azienda nel settore in Ticino?

MARTINELLI: Allora è stato negli anni 2000 o ‘99 o 2000 o 2001 non mi ricordo più esatto. Mi sono venuti a questa GB, la gine be … quella lì Barghini…

OCI: È la “GBT”, “Gene Bank Technology”, ne troviamo traccia sul registro di commercio. Fra le persone responsabili troviamo Luca Barghini il guru internazionale della canapa Scott Blakey, cittadino britannico … detto anche “Shanti Baba”, ma anche il “nostro criminologo” Michel Venturelli e poi il Dr. Werner Nussbaumer… comunque questa “GBT”, insieme alla “Bona Essenza” erano forse le due più grandi imprese che si occupavano di canapa in Ticino.

MARTINELLI: La “Gene Bank Technology”, esatto. Sono venuti a cercarmi se ero disposto a fare delle talee per loro e loro cercavano qualcuno che era un po’ professionista, di fare questi lavori qua. E io ho detto perché no? Il lavoro è il nostro, siamo floricoltori e quindi lo abbiamo fatto e siamo partiti anche molto bene. La cosa doveva essere anche normale e regolata. Arrivava qua anche la polizia, guardavano così andavano…

OCI: La produzione di talee è particolarmente importante nell’industria della canapa. Una talea di fatto è un “clone” delle piante madre, che serve per riprodurla e in questo portare avanti delle particolari caratteristiche genetiche che interessano l’industria. Principi attivi, redditività, resistenza alle malattie, eccetera.

MARTINELLI: Ma erano tutte numerizzate c’era l’A18, l’A23… Boh, una era l’orange, l’altra… non mi ricordo più i nomi, perché noi avevamo tutti i numeri.

MARTINELLI: E dopo qui avevamo tutte le talee. Adesso qui ho tolto tutte le luci. Anche come clienti dell’Azienda Elettrica eravamo dei buoni clienti perché spendevamo ventimila franchi al mese di corrente. Tra l’altro ho dovuto modificare, tirar qua la corrente forte che ho speso centomila franchi. Ci sono stati dei bei guadagni, onestamente, si sono guadagnati dei bei soldi, ma si è speso anche dei bei soldi. Ho fatto lavorare anche tanti operai, eravamo forti su questo devo dire, eravamo forse il numero uno in Svizzera.

OCI: Più che in una serra mi sembra di camminare in un laboratorio: luci, ventilatori, computer. Ancora di più ora che questi grandi spazi agricoli sono in buona parte vuoti.

MARTINELLI: Dopo la talea, quando è spuntata che ti ha formato la radice qua, veniva piantata in questi qua…

OCI: Quindi sono come dei plateau di lana di roccia?

MARTINELLI: Aveva ognuno il suo quadratino, questo qua veniva piantato, entrava giusto. Noi tiravamo la pianta alta venti centimetri e poi partiva, questo valeva cinque cinque franchi.

OCI: E a voi quanto costava?

MARTINELLI: E questo qua costerà, tra lavoro e tutto, sui due franchi. Forse neanche. Dipende dalla mano che hanno su gli operai a fare talee. Avevo qui questa squadra che riuscivano a farmene venti-ventidue mila. Una volta ho detto: se passate i ventimila vi pago la cena e ho dovuto pagare. È un giro d’affari molto buono, anzi, peccato che si è smesso.

OCI: E quanto si guadagnava in più con la canapa? Che proporzione c’era?

MARTINELLI: Eh… se in una serra di mille metri in verdura all’anno tiri fuori sui venti, venticinquemila franchi, con mille metri di canapa direi tiri fuori centocinquantamila e le spese uguali. Quindi…

OCI: Non ci pensi due volte.

MARTINELLI: Quindi è chiaro e capisci: l’occasione fa l’uomo ladro.

OCI: E la destinazione di tutta questa canapa, non era un segreto per nessuno.

MARTINELLI: E dopo ormai con queste piante facevano i sacchetti odorosi. Dopo cosa facevano la gente? Non era il mio problema. Anche la polizia mi domanda lei dovevo andare a vedere, devo, ma aspetta un attimo. È come se io vado a caccia e vado a comprare un fucile. Quello che mi vende il fucile viene a vedere se io vado a sparare la gente o gli animali? Non so, eh? Quando la merce viene via da me è andato. A me non interessava più niente di cosa ne facevano.

OCI: Mi ricordo che ad un certo punto ne avevo anche parlato con i miei genitori. Non facevo una grande attenzione a nascondere il mio consumo, ma non penso che si rendessero conto della situazione. Me lo ricordo come di un bel momento, ne avevamo parlato in maniera sincera. Mi hanno anche scritto una lettera, che purtroppo non ho più ritrovato. Scrivevano che mi volevano bene e che erano preoccupati per il fatto che fumassi, e poi mi facevano notare che nella storia le droghe erano state distribuite dal potere alla gioventù per controllarla ed evitare che facessero la rivoluzione, l’eroina era servita a distruggere il movimento. Per fare la rivoluzione bisognava restare lucidi. Le droghe servivano a convincere i soldati ad andare in guerra. Sono stati veramente molto bravi e hanno usato gli unici argomenti retorici che avrebbero potuto avere un qualche tipo di impatto su di me. Ma naturalmente non è bastato… e poi erano preoccupati per la scuola, la qualità, i pesticidi e il fatto di non sapere che cosa davvero ci stessimo fumando.

VENTURELLI: Mi ricordo che buttavano su di tutto su ‘ste piante. L’unico problema è che i prodotti tu lo butti su una melanzana e il periodo di decadimento è di otto giorni. Ma sulla canapa quant’è? Nessuno lo sapeva e in commercio è finito dell’erba che era piena di pesticidi e qualcuno quell’erba se l’è fumata

MARTINELLI: Già non ti fa bene fumare. Se poi hanno su i pesticidi e tutto, non c’è il controllo. È per quello che io dico che Berna deve svegliarsi. Rilasciare autorizzazioni a professionisti che si viene, si controlla, la mandiamo analizzare. Deve essere perfetta. Ma uno che la fa di nascosto cosa interessa lui? Se vedi che c’è un ragno rosso che ti forma la ragnatela tre giorni prima te la tratta …E i nostri trattamenti non sono trattamenti che è bere un bicchiere di vino, eh? Quello che si fuma la canna si fuma il pesticida assieme.

VENTURELLI: Ci fu un medico legale che recuperò dei campioni in tutta la Svizzera… Sai da dove arrivava il campione più contaminato? Dal canton Ticino. Era una roba che non si capiva che cosa c’era dentro. Era tossica. È questo il problema: il proibizionismo rende più pericolosa una sostanza che di per sé non lo è.

OCI: E i pesticidi non erano l’unico problema…

VENTURELLI: Nessuno piantava più pomodori, ci si era ritrovati con il metro quadro della serra che mi pare che il record era cento franchi al metro… Questa roba c’aveva un valore enorme. Quindi c’erano tutti i “securini” che monitoravano la cosa, ci sono stati regolamenti di conti, ci sono stati sequestri di persona, per dell’erba rubata, cioè ce ne è stata di tutti i colori.

MARCO: Da Sementina… giù fino a quasi alla rotonda dell’aeroporto, non solo e tutta canapa ma tanta.

VENTURELLI: Io mi ricordo: avevo una macchina con il tetto apribile in quel periodo e andavo a Comano tutti i giorni, attraversavo l’autostrada a Bellinzona e sentivo l’odore d’erba. Cioè era evidente quello che stava succedendo.

CRISTINA: Qualsiasi posto era tramutato in campi di canapa… grandi piccoli, e difatti parlando con un mio conoscente poliziotto mi diceva: sì sai vi abbiamo dato la mano e per finire ci avete preso il braccio.

MARTINELLI: Qui a Sementina, vicino alla chiesa, hanno piantato giù canapa. Non è proprio l’ottica per la gente che passava, vicino a una chiesa, mettere giù la canapa, era un po’ tanto.

VENTURELLI: Una volta sono passato vicino ad un campo d’erba… e c’era lì la tenda con i tipi che stavano lì ventiquattro ore al giorno.

MARTINELLI: Ti dico anche io la verità, passare giù dal piano, giravano con i fucili in mano.

CRISTINA: Era proprio stata costruita una torretta in cima alla sera in modo che si poteva poi vedere chi andava e chi veniva.

MARCO: In una serra, una mattina, una signora stava andando a spasso con il cane, tutta placida e tranquilla, gli salta fuori uno in tuta mimetica con il fucile d’assalto. Sembrava la California, no?

MARTINELLI: No no, erano armati. Non è che ti fidavi tanto entrare nelle serre e nei campi. Ti sparavano dietro. Era meglio stare lontano.

MARCO: Anche a me è toccato fare la guardia con il mio primo rottweiler, il Duca. Ero giù in una roulotte a dormire, quando avevamo il campo di fuori, avevamo paura degli albanesi, delle bande di albanesi che loro arrivano con il camion. ti caricano quello che possono caricarti e vanno.

VENTURELLI: Diciamo che è chiaramente scappata di mano la situazione… se all’inizio era una cosa un po’ folcloristica, ma era diventata d’aver paura… mi ricordo un furto d’erba. il tipo sono andati a prenderlo, mi son detto cacchio, qui siamo davvero a un livello di criminalità che si sta sviluppando oltre a quello che dovrebbe svilupparsi insomma,

MARCO: ma insomma è stato un po’ un wild west, ma io trovavo un certo romanticismo dentro, un certo senso di libertà che avevi. cmq giravi in mezzo a queste piante. era bello. E come tutti i periodi belli prima o poi finisce.

CREDITS

Quegli stupefacenti anni zero. È un podcast di Olmo Cerri prodotto da Francesca Giorzi per la Radiotelevisione Svizzera, postproduzione di Thomas Chiesa, musiche originali di Victor Hugo Fumagalli. Realizzato con il sostegno della Fondazione Svizzera per la Radio e la Cultura e dell’Associazione REC. Le puntate sono disponibili sul play della RSI e sulle principali piattaforme.

Bazzocco: Il canapaio qual’era lo scopo, di fare soldi e soldi ne hanno fatti e tanti.

Bazzocco: Il nostro rammarico di polizia era quello che pur vedendo questo fenomeno che continuava a crescere avevamo le armi spuntate.

Bazzocco: Droga leggera, droga maledetta, anticamera inevitabile che apre le porte dell’inferno.
EP 4 – Spaccacervello

OCI: Tutti si ricordano dov’erano l’11 settembre 2001, quando a New York due aerei erano stati dirottati contro le torri gemelle. Io ero al parco Ciani, avevo 17 anni, e stavo fumando una canna.

(suoni 11 settembre)

OCI: Qualcuno venne a chiederci dell’erba e ci raccontò che un aereo si era appena schiantato su un grattacielo. Sembrava incredibile. Per tornare a casa prendo il bus all’autosilo Serafino Balestra di Lugano. Nel localino degli autisti c’è la porta aperta, un televisore acceso, e le immagini in loop dell’aereo che si schianta sulla seconda torre.

Sono stono. Mi fermo a guardare. Rimango in fissa per almeno 10 minuti. Perdo il bus.

Archivio: Il consumo di alcol e droghe leggere tra i giovani, 11-16 anni in Svizzera è duplicato per quel che concerne l’alcol e quasi quintuplicato per quanto riguarda le droghe leggere. Che peso possiamo e vogliamo dare a questi dati? C’è una banalizzazione?

Archivio: Ma credo che sia importante oggi chiedersi come mai i giovani hanno bisogno di sostanze che alterano per poter fare delle cose, per potersi divertire, per poter stare con gli altri…

OCI: Forse un po’ di THC nel sangue, in quegli anni, aiutava ad accettare l’idea di diventare adulti in un mondo così. Un mondo terribile, securizzato ma senza sicurezze, con poche prospettive lavorative e con la crisi climatica che incombeva.

ESTRATTO RSI: Molto è cambiato per tutto quello che gravita intorno alla canapa quando non ci si immaginava di certi tenori di THC definiti spaccacervello…

OCI: Decine di negozi in ogni centro urbano, chili di erba fumati ogni giorno, un giro d’affari milionario, ogni spazio agricolo invaso dalle coltivazioni. Il Ticino, in Europa, era un’isola felice per quanto riguardava la canapa. Ma su quest’isola le nubi iniziavano ad addensarsi all’orizzonte…

L: Cosa è successo non lo so ma a un certo punto, già nel 2001 c’erano controlli di polizia. Io mi ricordo gli altri negozi miei amici dicevano: ah sono venuti anche da voi a controllare? E da noi non erano mai stati…

ESTRATTO RSI – LUIGI PEDRAZZINI
Recentemente si è deciso di rilanciare messaggi di prevenzione anche nell’ambito dell’uso di droghe leggere però penso che non sia l’unica risposta da dare c’è anche una risposta di intervento repressivo nella produzione e nel commercio della canapa, secondo me oggi assolutamente necessari.

 


TITOLI EP4 – SPACCACERVELLO

MUSICA: OASIS

All’inizio del nuovo millennio la situazione in Ticino era davvero incasinata. Un quadro legale vago sembrava permettere il commercio di erba, la canapa era considerata da taluni come un innocuo passatempo e da altri come una pericolosa droga. Chi si occupava di questo business poteva essere raccontato, a seconda dei punti di vista come un illuminato imprenditore o come un pericolosi criminali.

L: Quindi già nel 2000 si iniziava a sentire un po’ di… sai non era più così sciallo. Infatti mio fratello voleva vendere, mi fai dai te lo vendo a te il negozio…’sto cazzo io non ne voglio ‘ste gabole. Quindi già nel 2000-2001 si iniziava a sentire un po’ di agitazione.

OCI: Quella “anomala normalità” che si era venuta a creare in Ticino stava forse giungendo al termine? Si era toccato un limite? Le cose non potevano più andare avanti così, ma non era così chiaro quale strada la società avrebbe deciso di intraprendere. Liberalizzazione o repressione?

BARGHINI: Non voglio dire che siamo rimasti sorpresi. Ci aspettavamo che qualcosa doveva cambiare, anche perché , ma questo si sarebbe comunque assestato da sé.

OCI: Per tanto tempo ho pensato che la chiusura dei canapai fosse stata un‘azione ideologica e proibizionista. Mi sono reso conto preparando questo podcast che la situazione era più complessa di quello che mi appariva… e dietro al vento di libertà e di liberalizzazione portato dai canapai c’erano soprattutto tanti soldi, e tutta una serie di questioni come il mercato nero, il traffico internazionale, che non erano state minimamente affrontate.

VENTURELLI: E’ chiaro che quando mi vendi cento chili d’erba sono tanti tanti soldi ed è chiaro che poi, dopo, questi soldi bisognava riciclarli e il dibattito pubblico era a senso unico nel senso che l’attività va proibita e le autorità non sapevano come fare.

Estratto RSI – Pedrazzini: Io credo che da qui bisognerebbe partire: constatando il dilagare delle attività di commercio e produzione è inaccettabile per la nostra società

BAZZOCCO: Il nostro rammarico di polizia ma in particolare di chi lavorava al fronte era quello che pur vedendo che il fenomeno continuava a crescere avevamo le armi spuntate perché la magistratura non ci ha mai concesso l’ordine di perquisizione per intervenire su un canapaio. Ci si limitava magari con le polizie comunali a fermare i clienti di questi negozi, quando uscivano, ai quali sequestravamo questi cuscinetti odorosi, come venivano chiamati e come venivano anche venduti.

Sono in Malcantone, a casa del Capitano di polizia in pensione Alfredo Bazzocco. Alle pareti animali impagliati e i fucili della moglie, appassionata di tiro e anche lei ex poliziotta. Una vita dedicata a combattere il crimine.

OCI: Bazzocco era in prima linea nell’antidroga negli anni dei canapai. Una carriera che si fonda su alcuni principi chiari.

BAZZOCCO: Perché io non sono mai stato un violento, non mi è mai piaciuta la violenza. io ho sempre lavorato con l’astuzia. Qualcuno naturalmente meritava dei cazzotti e allora cosa facevo? Lo vuoi un caffè? Chiedevo alla mia collega di portare un caffè. Vuoi fumare? c’erano questi approcci di avvicinamento dolce perchè è inutile, meriti due cazzotti perché hai fatto cose incredibili ma non tocca a me… no!

OCI: Ma torniamo alla nostra storia, ai canapai, come veniva affrontata la questione da chi come Bazzocco era al fronte, in Polizia?

BAZZOCCO: Allora, io le cito una frase che ho raccolto anni fa a mio giudizio molto significativa che poi riportavo sempre durante le conferenze che ho tenuto e negli interventi nelle scuole che ho tenuto. La frase è questa: “Droga leggera, droga maledetta, anticamera inevitabile dell’altra che apre le porte dell’inferno”.

OCI: Una massima che si ispira alla famosa teoria del passaggio nata negli Stati Uniti negli anni ‘30 in pieno proibizionismo. Nei decenni se ne è parlato parecchio. Il fatto che Bazzocco citi questa teoria, come base del suo agire, è sintomatico.

BAZZOCCO: Tutti quelli che erano arrivati alla cocaina o all’eroina, tutti sono passati dalla marijuana.

OCI: Nel frattempo è stato dimostrato che l’approdo a droghe pesanti è una questione complessa, non c‘è una diretta correlazione con le droghe leggere, ma dipende da più fattori, ad esempio la situazione personale e il contesto sociale.

BAZZOCCO: Il proliferare dei canapai era abbastanza sfacciato. Avevano un po’ veramente preso piede e bisognava assolutamente intervenire. Abbiamo informato di questo grosso problema che era sotto agli occhi di tutti, però eravamo lì, un po’ arrabbiati anche, perché non potevamo agire.

OCI: Io, per fortuna, non sono mai incappato in un controllo di polizia, nemmeno al parco Ciani o al Tassino dove ci trovavamo spesso. Djembe, didjeridoo, palline da giocoliere, erano l‘armamentario minimo per una domenica pomeriggio. Insieme naturalmente ad un bong o a un ciloom. Nei parchi si mangiava, si dormiva, si incontrava gente, si suonava e soprattutto si fumava, e se qualche volta arrivava la polizia, bastava un attimo per nascondere sotto ad una zolla il “grip” con l’erba o a gettarla poco lontano per recuperarla in seguito e non avere quindi nessuna conseguenza.

OCI: La domenica sera poi nei parchi accadeva di incontrare degli italiani che avevano passato il weekend in Ticino, avevano comperato più erba di quella che erano riusciti a fumare e per paura di passare la dogana ti regalavano i loro “avanzi”…

BAZZOCCO: Arrivavano da lontano, anche da Bologna. Poi naturalmente le guardie di confine ci hanno dato una mano perché si constatava che dalla vicina Italia avevano preso la via della Svizzera per portare in Italia quantità incredibili di marijuana.

(Suono organo Rossinelli)

Questo è il suono dell’organo che l’ufficiale delle guardie di confine Fiorenzo Rossinelli ha costruito dopo essere andato in pensione… è grande come un piccolo armadio, tutto di legno, e occupa un posto d’onore nella sala da pranzo della sua casa di Ligornetto.

OCI: Mi sembra incredibile costruire una cosa del genere…

ROSSINELLI: Nella Chiesa di Ligornetto c’è un eccellente organo da concerto, un Mascioni. E io mi ero sempre prefissato che quando avevo un momento lo avrei costruito. Vedi che si abbassano.

OCI: E quanti pezzi sono? Migliaia?

ROSSINELLI: Tante, le canne sono quarantanove.

OCI: Ma non sono venuto fino a Ligornetto da Fiorenzo Rossinelli per parlare di “queste canne”.

OCI: E a te non è mai venuto nemmeno voglia di provare a fare un tiro di canapa?

ROSSINELLI: No!

OCI: Neanche da ragazzino?

ROSSINELLI: Pensa che io ho settantadue anni, ma a quei tempi… non era così scontato, c’è chi l’aveva fatto, mah. Tu hai provato?

OCI: Io sì, per diversi anni ho fumato…

OCI: Fiorenzo Rossinelli mi sorprende con il racconto del suo primo impatto con il mondo della droga.

ROSSINELLI: In caserma a Bellinzona c’erano delle reclute che facevano uso di sostanze stupefacenti e lì il primo impatto, ed era il 1977. Non erano droghe pesanti, era hashish e canapa. Mi ricordo benissimo che avevamo addirittura fatto intervenire i cani di servizio antidroga che avevamo, per individuare dove veniva nascosta e ne abbiamo trovata. E nel frattempo che ero ufficiale delle Guardie di Confine. Naturalmente il traffico si sviluppava e siccome noi in mezzo all’Europa siamo paese di transito, era, diciamo, un crescendo di risultati. L’apertura dei canapai, anche quella è stata per noi un tour de force, da non credere. Anche lì si è sviluppata subito una specie di pellegrinaggio. Non pareva vero che in tanti negozietti si vendesse la canapa… e per noi iniziò un periodo incredibile.

L: E il sabato, arrivavano i pullman da Roma, in giornata e poi tornavano giù e noi dicevamo minchia da Roma però… Lugano è metà strada di Amsterdam!

ROSSINELLI: Certi nostri collaboratori dicevano ma non è possibile, noi qui veramente facciamo un lavoro che è impossibile portarlo a termine, perché già quando si saliva sul torpedone che veniva controllato in frontiera, si sentiva già anche il profumo. Lì voleva dire che tutti scendono e poi cominciava un lavoro che durava magari sette, otto ore. Cioè era un qualche cosa in magazzino c’era un secondo torpedone e poi un altro torpedone. Cioè, era veramente per noi un lavoro estenuante. E penso che molti agenti ne hanno sofferto per questo particolare momento che per fortuna si è esaurito…

OCI: “Svuotare il mare con un cucchiaino” è l‘espressione che trovo su un giornale dell‘epoca usata per definire lo sfiancante lavoro di Fiorenzo e di tutto il personale delle dogane… eppure i traffici continuavano ad aumentare…

ORLANDO: In teoria i negozi vendevano sacchetti profumati, però voci … comunque c’era magari qualcuno che riforniva di chili e mezzi chili gli italiani che venivano in Svizzera compravano e che poi portavano in Italia…

OCI: Lo sai o lo hai sentito?

ORLANDO: Sentito.

ROSSINELLI: Era un po’ come una lotta impari…. noi cercavamo di trovare il bandolo della matassa. Ma le matasse erano veramente tante.

BARGHINI: Cinquanta mila lire… prendevi otto grammi di fiori. Bene o male noi si faceva il prezzo basato sulla lira, perché noi si vendeva quasi solo agli italiani, almeno nel mio caso a Chiasso era così.

ROSSINELLI C’erano dei nostri agenti che avevano un occhio clinico un po’ vedevano subito, anche dal modo di vestire di certe persone. Questa era veramente una prima fase, spesso dava dei risultati.

OCI: Me li ricordo bene i controlli in dogana. Avevo i capelli lunghi i dreadlock e non passavano volta che potessi transitare senza farmi perquisire…

OCI: Non è un po’… discriminatorio anche?

ROSSINELLI: Sì sì, convengo. Diciamo non era così facile nemmeno per i nostri collaboratori dire: ma quello che è vestito bene con la sua valigetta, potrebbe essere la persona più pericolosa di quello che guarda fuori, come un hippy.

OCI: Mi ricordo che si diceva che il caffè potesse confondere i cani, oppure che avvolgendo i sacchetti profumati nella plastilina si evitava di farsi beccare. C’era chi metteva l’erba avvolta nella plastica nella confezione dello shampoo e chi la metteva semplicemente nel cestino dei rifiuti del bagno, per recuperarla all’arrivo. C’era chi si organizzava per portare l’erba in vacanza, passando dai vecchi sentieri dei contrabbandieri. Nella mia zona era molto battuto quello fra l’Alpe Bolla e i Denti della Vecchia. Io non sono mai stato abbastanza coraggioso per provare direttamente.

OCI: Comunque se il micro-traffico di erba prendeva un sacco di energie a chi pattugliava la frontiere, c’erano anche dei passaggi di canapa molto più importanti. Ma come funzionavano questi traffici? Ne parlo con il criminologo Michel Venturelli che dal suo osservatorio privilegiato teneva d’occhio la situazione…

VENTURELLI: Buona parte dell’erba esportata era dell’erba che veniva recuperata dal giochino dell’olio eterico. Si preparava dell’olio di canapa, per fare questo concentrato tu hai bisogno circa di mille kg di erba fresca per fare un chilo d’olio. E io vedevo questo cliente che mandavano chili e chili e chili di olio e io pensavo: un bel business. Quello mi fa, no ma guarda funziona cosi: la bottiglia viene venduta come 100% di olio eterico ma in realtà c’è un decimo di olio eterico di canapa e nove decimi di olio di jojoba. Quindi recuperiamo i nove decimi del raccolto. E io mi dicevo: ma qualcuno farà analisi su queste bottiglie, visto che comunque è materiale sensibile, ne gira un quantitativo incredibile… qualcuno in dogana vorrà fare una analisi.. non hanno mai fatto una analisi! Niente!

OCI: Insomma il criminologo Michel Venturelli mi sta dicendo questo: si faceva risultare che quintali di canapa venissero distillati con la scusa di produrre olio eterico per uso industriale (per la comsetica, o per la birra alla canapa), e invece una parte di questa canapa veniva venduta in nero tramite altri canali… e magari finiva anche con il passare illegalmente le frontiere. E quindi l ‘olio di canapa era una copertura? Ne voglio parlare anche con Luca Barghini, il cosiddetto “Re della Canapa”…

BARGHINI: Tanto, voglio dire: io potrei raccontare tutto perché ormai io per i miei delitti ho pagato. Qui stiamo parlando di cose accadute vent’anni fa, sì che non è una copertura, non era solo una copertura Secondo me no, no, perché era comunque un business. Però allora era un io un chilo di olio eterico, a quei tempi alla birreria, lo vendevo a ottomila franchi al chilo. Che poi una parte della produzione andava su canali convenzionali, ossia andava a finire nei negozi o chissà dove. Questo di sicuro sì.

OCI: Però scusa, sono molto ingenuo, però. Cosa vuol dire “copertura” che si finge di vendere olio eterico o invece si vende in nero l’erba?

BARGHINI: Ma non c’era bisogno di nessuna copertura, non c’era bisogno della copertura perché io c’avevo le fatture degli agricoltori dove compravo 118 chili di super skunk, fiori puliti, con fattura. Non vedo dove ci deve essere una copertura. Diciamo così: l’olio eterico ti permetteva di giustificare grosse coltivazioni. Che poi una parte di queste coltivazioni, andassero, i più bei fiori, la prima qualità, andasse nei canali convenzionali, ossia vendita di fiori per fumare o per profumare, o quello che sia, questo di sicuro sì. Ma che fosse una copertura no, non sono d’accordo.

OCI: In quegli anni si era venuta a creare tutta una geografia specifica legata al fumo. Perché una canna meritava un posto dedicato, che fosse tranquillo “sciallo” ma anche bello, che avesse qualcosa di speciale, di magico. Per noi di Lugano c’erano quindi dei posti molto gettonati: il tetto dell’autosilo Balestra, al parco ciani il muretto sotto al platano, il Roccolo al Tassino, la foce di Caslano e il sentiero di Gandria. Sta di fatto che all’inizio del nuovo millennio la politica si era attivata e anche parte della popolazione era stufa e preoccupata. Mi ricordo che quando la nonna mi regalava 20 franchi per Natale o per il compleanno diceva anche “mi raccomando non bere la droga”.

Estratto RSI Rete1 Millevoci: Guardi, io sono semplicemente scandalizzata dalla liberalizzazione della canapa in Svizzera… portano che c’è il vino, che è veleno, il tabacco, che veleno. Ma allora aggiungiamo altro veleno al veleno. E così andiamo bene.

VENTURELLI: Effettivamente la situazione è completamente degenerata. Mi ricordo Don Feliciani che mi diceva che vedeva i ragazzini di dodici anni che tiravano su i moccini delle canne e le fumano. Non stento a credere che fosse vero.

ESTRATTO RSI – Don Feliciani: Ma direi che qui a Chiasso il problema è palpabile, basta prendere parte a una festa per vedere il trionfo della canapa. Se pensiamo che tanti papà e mamme dei nostri palazzi hanno paura a scendere nei parchi con i bambini perchè ci sono quelli che fumano, se pensiamo alla preoccupazione dei maestri perché i ragazzi vanno in giro a raccogliere le cicche… le preoccupazioni sono tante. Qui bisogna muoversi, la situazione è diventata intollerabile.

VENTURELLI: Il vero problema è stato che non c’è stata una regolamentazione. Ora io capisco che le autorità mi dicessero questa roba è proibita, quindi noi non facciamo niente, noi reprimiamo e basta. Però allora reprimi! Cioè non mi lasci venire su settantacinque canapai in una situazione del genere. Tanto più che dal ‘98 la giurisprudenza federale era chiara: si poteva chiudere tutto, non ci sarebbero stati problemi. In quel periodo non c‘erano tutti questi canapai…

OCI: Colpo di scena: fino a questo momento avevamo detto che la canapa in Svizzera si poteva vendere fino a quando non ne veniva provato l’uso come stupefacente, e che quindi la polizia aveva le mani legate. Ma ora il criminologo Michel Venturelli cita una sentenza del ‘98 che sembra sostenere il contrario. Forse è il caso di parlarne con qualcuno che se ne intende?

OCI: Ad Ascona, nel suo studio, incontro Marco Broggini ex chitarrista della band locarnese dei Doctor Frust, ma soprattutto avvocato, che – anche grazie a questi contatti nel mondo della musica – finisce con l’occuparsi di diversi processi per canapa diventando così un punto di riferimento in materia.

BROGGINI: Oggettivamente non puoi vendere una sostanza stupefacente e dire non sto spacciando. Calma che prima o poi, ragazzi, la stangata arriva! Ma io gliel’ho detto a tutti perché l’avevo previsto.

OCI: Secondo Broggini la sentenza sulla base della quale si sarebbe potuto regolamentare meglio i canapai è dell’ottobre del 1998 e si basa sul concetto di “dolo eventuale”.

BROGGINI: Il dolo eventuale che non so, per esempio, io non è che voglio ammazzarti, ma se ti prendo con un skateboard in testa accetto il rischio. Quindi il fatto che io intravedo la possibile conseguenza, conto che non si realizzi. Ma accetto il rischio: questo è il dolo eventuale.

OCI: Ma nella questione della canapa come si applica il dolo eventuale?

BROGGINI: Già allora si diceva che praticamente se io vendo questi sacchetti con della canapa sopra l’1%, io spaccio canapa, quindi spaccio stupefacenti. Perché accetto il rischio che la persona che compra il sacchetto, esce dal negozio e si rolla una sigaretta, quindi era nota a tutti questa sentenza.

ESTRATTO RSI: Il tribunale federale, ha stabilito il principio che: chi vende i cosiddetti sacchetti odorosi di canapa non può non sapere che nella maggior parte dei casi vengono usati come stupefacenti. Allora è evidente che tutti i negozi di canapa attualmente esistenti in Ticino possano essere chiusi in breve tempo, perché nessuno dei proprietari può ignorare questo fatto.

BROGGINI: E sulla base di questa sentenza si potevano chiudere tutti i canapai in due secondi. E quindi il grosso problema è, la grossa domanda è: perché non è stato fatto?

OCI: E perché non è stato fatto?

BROGGINI: L’ha detto Luigi Pedrazzini, all’epoca direttore del Dipartimento, disse che in fondo non c’era la volontà politica. Frase che poi io sfruttai in un paio di arringhe clamorose, dicendo che un Montesquieu si girava nella tomba, nel senso che aveva teorizzato la separazione dei poteri. E un politico mi viene a dire quando c’è una legge, quando c’è una giurisprudenza chiara che non c’era la volontà politica. Ma è stato anche onesto a dirlo perché era così.

ESTRATTO FALÒ PEDRAZZINI (recuperare estratti da Falò luglio 2003: Io posso anche ammettere che… xxxxxx anche un’attività di produzione di canapa facesse bene all’agricoltura o all’economia ticinese.

OCI: Inoltre c’è un altro aspetto da prendere in considerazione: giovedì 20 luglio del 2000 il presidente del Governo Cantonale ticinese Giuseppe Buffi, è in vacanza nei pressi di Chioggia, mentre sta guidando la propria auto con la moglie e la figlia ha un malore. La vettura esce di strada. Il presidente muore appena giunto all’ospedale.

BROGGINI: Si mormorava all’epoca che erano cambiati gli equilibri politici in consiglio di Stato perché era deceduto un Consigliere di Stato e ne era subentrato un altro.

ESTRATTO RSI: I ticinesi scoprono che il Consiglio di Stato ha cambiato idea sulla questione canapa. BORRADORI: Di fatto è un po’ di tempo che l’opinione del Governo è cambiata, segnatamente con la scomparsa del compianto Giuseppe Buffi e l’entrata in Governo di Gabriele Gendotti si è creato un diverso orientamento.

BROGGINI: Quindi da tre a due a favore della nuova legge federale sugli stupefacenti quindi liberalizzazione, si è passati a tre a due contro. Non ci sono altri motivi oggettivi.

Questa è la ricostruzione fatta dall’avvocato Broggini… Negli altri cantoni invece come è stata gestito il tutto? Orlando e Luca avevano anche dei negozi fuori dal Ticino.

ORLANDO: Nel senso che diversi cantoni della Svizzera tedesca hanno avvisato i negozi dicendo: guardate, avete tempo ancora fino al, per far fuori le vostre scorte.

BARGHINI: A Lucerna nell’ottobre-novembre 2002 abbiamo ricevuto una lettera. In poche parole diceva Siamo state a guardare troppo a lungo. Quello che voi vendete oggi è chiaro sono stupefacenti, perciò vi diamo trenta giorni di tempo per chiudere. Noi abbiamo chiuso, e finita lì.

BROGGINI: Lo Stato secondo me ha sbagliato perché come dico, ha creato questa apparenza di buon diritto.

Il “buon diritto” indica la possibilità o la verosimiglianza dell’esistenza di un diritto, pur in mancanza di un accertamento definitivo. Visto che lo facevano tutti, e che le autorità non erano intervenute, era verosimile credere che la vendita di canapa fosse possibile e legale.

OCI: Quand’è che avete avuto la sensazione che le cose stavano cambiando? Che stava un po’ cambiando il vento?

S: E quando hanno iniziato a chiudere, sai uno qui, uno di là, quell’altro di là non si capiva come mai i liberali chiudevano, in cui si veniva a sapere che magari aveva venduto al minorenne appena ce l’ha. appena c’era Magari una piccola cosina arrivavano.

ESTRATTO RSI Noi siamo abbastanza tranquilli perché pensiamo che i negozi non siano stati chiusi per la vendita di sacchetti profumati, quanto per il possesso di altre sostanze stupefacenti come hashish. Quindi se loro mi rilasciano un’autorizzazione per produrre, effettuano i controlli e poi lo stesso prodotto viene utilizzato per farmi chiudere il negozio. Non mi sembra molto logica la faccenda.

OCI: Orlando con i suoi negozi Biosfera è rimasto coinvolto in una di queste operazioni di polizia precedenti all’operazione Indoor, chiusure che non contestavano il “cuore” del problema, ovvero la vendita di canapa ma che toccavano delle questioni secondarie.

ORLANDO: E quindi una mattina ero lì in ufficio, tranquillo, davanti al mio computer a fare i miei lavori entrano due signori: polizia, non siamo qua per fare acquisti, ma siamo qua per un intervento. E avevamo dei fornitori che ci fornivano i fiori in nero, sono stati scoperti dalla polizia. E fra gli acquirenti in nero c’era anche la nostra società.

OCI: Un po’ te l’aspettavi che sarebbero arrivati?

ORLANDO: No, no, no, no… Anche perché, appunto, essendo in nero, non immaginavo che questi fornitori della Svizzera tedesca avessero tutta la contabilità come se fosse in bianco.

OCI: Ma non sarebbe stato meglio non comprarla in nero?

ORLANDO Chiaro, chiaro. Però lì è stato l’avvocato a dirci, visto che in quel periodo di grosse cifre, di alte cifre dice che le cifre, sono molto alte. Se avete problemi con queste cifre mi fanno un culo così dichiarate, un milione e quindi ci aveva detto di fare metà a metà.

OCI: Pensi che si possa dire questa cosa?

ORLANDO: Se non si fanno nomi sì.

OCI: E dopo un po’ hai riaperto?

ORLANDO: Ma io dopo un po ‘ ho riaperto, perché? Ma perché avevo un magazzino con dentro duecentomila franchi di merce ancora da pagare e quindi ho tenuto aperto ancora un anno e mezzo per pagare tutti i fornitori. Una volta che il magazzino era vuoto, tutti i fornitori pagati ho chiuso il negozio.

OCI: Il castello stava iniziando a scricchiolare, ma per noi la consapevolezza di quello che stava succedendo era pari a zero.

Avevamo però elaborato tutto un complesso gergo tecnico specifico e una ritualità che accompagnava la nostra attività preferita. Ganja, erba, la brasa da far giù nello lo sbrasometro o nel cocchino, il fumo, il fumello o meglio il pot, le canne, gli spliff, gli spini, gli spinelli, bom, boomalek, shiva, essere stoni, stonelli o stonissimi. Andare in fissa. Flippare o flaskare. Si faceva un gran discutere di canne a bandiera, fatte con castelli di cartine corte, filtro a destra o a sinistra, e poi canne con filtro a S, con filtro a Z, i carciofi. Una giunta o una giuntina. Chilom, cilotti, bong di bambù e bong costruiti con la bottiglia in PET. C’era il tiro del coglione, il tiro del carabiniere.

Tante parole ma nessuna comprensione di che stava per succedere, il futuro era coperto da una coltre di fumo…

 


EP 5 – Il finimondo

(CANZONE RETE3 – El Perugito)

OCI: Nel 2003 la Rete3 aveva dedicato una canzone alla campagna antidroga capitanata dal procuratore Antonio Perugini, che era stato rinominato per l’occasione “El perugito”, infatti era lui che impersonificava la battaglia contro la droga delle istituzioni…

OCI: Tu com’è che gli scriveresti? Procuratore Perugini? Egregio Ex procuratore? Non suona bene… Avvocato? Egregio Signor Perugini, mi chiamo Olmo Cerri e sto realizzando un podcast documentario sugli anni dei canapai in Ticino…

OCI: Ci sono delle interviste che mi pesano più di altre, una di queste, però fondamentali per questo podcast è quella all’ex procuratore Antonio Perugini. Era suo il volto e la voce della campagna antidroga.

Estratto RSI Perugini: Quali autorità inquirenti siamo estremamente preoccupati dell’ampiezza e della celerità con la quale il fenomeno ha preso piega nel nostro paese.

OCI: Mi metto la mia camicia migliore e mi pettino per bene, voglio fare una buona impressione, da anni non ho più i dreadlock ma ho ancora i capelli lunghi e mi ricordo un graffito su un muro vicino alla Migros di Locarno che diceva: capelli lunghi uguale droga. Non si sa mai. Io nel 2003 non avevo nemmeno vent’anni e non capivo tutti i retroscena della questione. C’erano i canapai e c’era chi voleva chiuderli e per me era chiaro da che parte volevo stare. Avevo l’impressione che Perugini, con la sua “Operazione Indoor”, fosse il guastafeste responsabile della fine di quel bel periodo. Arrivo a casa sua ad Arbedo con qualche minuto di anticipo. Sulla piazza: il suo famoso maggiolino azzurro…

(1,2,3… rumore radio e chiacchiere Perugini, acqua)

OCI: Oggi mi dico, che è chiaro che c’erano dei problemi questo è certo, ma che forse si poteva regolare meglio il tutto senza arrivare ad una chiusura così drastica. Comunque, cerco di mettere da parte il pregiudizio di allora, anche perché non avrei mai pensato di trovarmi a bere il tè nel salotto buono di Perugini.

Radiotelevisione Svizzera presenta: QUEGLI STUPEFACENTI ANNI ZERO, un podcast originale di Olmo Cerri. Quinto e ultimo episodio: Il finimondo.

OCI: Chissà se anche Perugini si ricorda la canzone di Rete3?

Perugini: Ho in mente che c’era stata, anche le vignette, di tutto e di più. Erano dei momenti in cui ero piuttosto preso di mira…

Mi ricordo bene le vignette sul Diavolo, il quindicinale satirico schieratamente antiproibizionista, che prendevano di mira Perugini e poi le strisce a fumetti de il Gonzo e lo Stono, due fagioli antropomorfi ideati dal disegnatore Christian de Marta, che ironizzavano proprio sul consumo di canapa e sugli eccessi di quegli anni, ma man mano che va avanti la chiacchierata con Perugini, mi rendo conto che per lui, in quel periodo, c’era poco da ridere, la situazione in Ticino era drammatica.

Perugini: Qui sta succedendo il finimondo, stiamo veramente perdendo tutto quello che i nostri padri e i nostri nonni hanno costruito in secoli di benessere. E che stava andando in mano a delle cosche mafiose. Il Ticino era diventato praticamente una piattaforma di produzione e di smercio di prodotti derivati dalla canapa, in particolare marijuana. C’era tutto il settore dell’agricoltura che stava andando a ramengo. Arrivavano i consumatori a frotte ogni week-end era il caos. Era veramente una situazione paradossale. Perché tutto era illegale e tutto era invece legalizzato di fatto. Ed era un giro stra-milionario: avevamo trovato addirittura in un caso settecento e rotti mila franchi nella cuccia del cane. Sono arrivati alle nostre latitudini anche specialisti di queste coltivazioni che venivano dall’Australia, dall’Inghilterra, dall’Olanda e li trovavamo ovviamente inseriti nel nostro tessuto para-agricolo ticinese.

OCI: Anche il criminologo Michel Venturelli si ricorda il ruolo che questi esperti internazionali hanno avuto sulla qualità e sulla potenza della canapa prodotta in Ticino.

Venturelli: Avevamo delle persone molto brave a fare dell’erba qui che hanno tirato su i tassi di THC, automaticamente queste sostanze diventavano sempre più fra virgolette pericolose e per vedere che erano pericolose basta andare a vedere il numero di ricoveri di minorenni a Mendrisio durante l’epoca dei canapai e vedrai che c‘è stato un incremento di ricoveri enorme, proprio perché come tante sostanze anche la canapa se tu hai un psicosi latente da qualche parte rischia di tirartela fuori.

OCI: Ad un certo punto è iniziata a girare un’erba indoor così potente che ti faceva star male. Dopo averla fumata non potevi far null’altro che stare sdraiato a terra, con gli occhi chiusi, fermo, e il cuore a mille, in una sorta di trip, per un paio d’ore fino a quando non ne uscivi e potevi ricominciare a respirare e a stare in piedi. Non era una bella sensazione.

Perugini: Quando tu hai degli spinelli al 25-30% di THC che venivano addirittura chiamati letteralmente spaccatesta, c’erano i sacchetti con il bigliettino spaccatesta. ..

OCI: Ma per Perugini non si trattava solamente della questione della qualità dell’erba in circolazione…

Perugini: Era veramente un elevatissimo rischio di creare una colombizzazione del Canton Ticino, tutto quello che era l’apparato di supporto era in mano a questi che spadroneggiavano, avevano anche i soldi, i milioni per poter gestire, manovrare qualsiasi scelta politica, economica, sociale, culturale e quant’altro. E ricordo perfettamente che avevamo segnali chiari ed evidenti dell’arrivo di cosche mafiose soprattutto dal Sud Italia che stavano approfittando della situazione per inserirsi su questo mercato estremamente lucrativo.

Venturelli: È stato un periodo di pessima anarchia. I canapai erano lì a far soldi questo era abbastanza evidente, il grande problema era dove erano le autorità in quel momento?

OCI: Dove erano le autorità? La situazione era davvero problematica e, anche chi con la canapa ci lavorava, riconosce che dei problemi c’erano. Persino il “Re” della canapa Luca Barghini era un po’ preoccupato.

Barghini: Eravamo davvero diventati troppi, c’era addirittura chi faceva 3 x 2 c’era già una forte concorrenza fra di noi. Però il perché sia stata gestita così mi piacerebbe saperlo anche a me. Non so se ad un certo punto gli è esplosa fra le mani, si sono accorti, di aver aspettato troppo lungo e hanno voluto intervenire così fortemente per far vedere anche all’opinione pubblica: basta adesso facciamo qualcosa. Non so…

OCI: Vorrei cercare di capire cos’è successo in quella primavera del 2003, vent’anni fa, che ha portato alla fine di quegli stupefacenti anni zero. In quell’anno i canapai in Ticino erano oltre 70, iniziavano a diventare parte del paesaggio. Centinaia le persone coinvolte nell’economia della canapa, anche rispettabili imprenditori si erano buttati in quel campo. C’era persino una parte di governo che spingeva per cercare di regolarizzare il commercio…

Archivio RSI Patrizia Pesenti: Non tutti i consumi sono problematici, vi è anche un consumo ricreativo che non necessariamente, sempre, produce conseguenze drammatiche.

Perugini: C’erano fior di politici che insistevano su questo e anche fra l’opinione pubblica c’era la mancanza di elementi per capire che cosa stesse succedendo.

Archivio RSI – Telefonata: Io sono nella cosiddetta terza età, magari quasi quarta, però io voglio ricordare che la canapa faceva parte della nostra civiltà. Io ho strofinacci di più di cent’anni di canapa. È una pianta sana, e io non sento il bisogno di fumare ma la farei anche una fumatina… è troppo simpatica signora…

Perugini: È nata la volontà di resistere a questa ondata di normalizzazione di quel mercato che invece per legge era ovviamente illegale e che noi dovevamo salvaguardare. È stata una lotta veramente impari. C’era veramente il caos…

Archivio RSI: Hanno aggredito in tre un pensionato di 68 anni a Minusio, sorpresi mentre rubavano canapa in un giardino, arrestati hanno poi tentato di bruciare la gendarmeria di Locarno.

OCI: Il caos: con qualche sfumatura più o meno sono tutti concordi, bisognava fare qualcosa. Ma perché aspettare così tanto prima di agire? Il 2003 era un anno elettorale e una presa di posizione dura contro i canapai poteva favorire alcune aree politiche e poi, come abbiamo sentito nella precedente puntata, erano cambiati gli equilibri in Governo. Con l’arrivo di Gendotti al posto di Buffi la maggioranza era cambiata.

OCI: Ma sono sicuramente stati il ruolo e la convinzione personale di Perugini che hanno fatto la differenza. Ed è così, che nella primavera del 2003 si sono create tutte le condizioni necessarie per cui l’Operazione Indoor potesse davvero partire.

Perugini: Diciamo che io ho fatto un po’ da baluardo in Magistratura. Perché anche all’interno della Magistratura non c’era la convinzione che valesse la pena e che si dovesse intervenire molto più incisivamente. E ho trovato ovviamente ampio consenso in quella parte di polizia che poi mi è stata messa a disposizione per acquisire tutti quegli elementi che servivano a smontare gli alibi. Cosa hai comprato? Quanto l’hai pagato? Eccetera. Quindi è da lì che è nato lo smontamento degli alibi che venivano utilizzati in quel momento…

(suoni subacquei)

OCI: «Ci sono due giovani pesci che a un certo punto incontrano un pesce anziano che saluta: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci nuotano ancora un po’, poi uno guarda l’altro e dice “Che cos’è l’acqua?”»

OCI: Mi viene in mente questa storiella, citata da Foster Wallace, perché la situazione era difficile. Nonostante fosse chiaro a tutti che l’erba venduta nei canapai non sarebbe andata a finire negli armadi (lo sapevano anche i paracarri), e che tutto fosse dichiarato e alla luce del sole, rimaneva molto difficile provare questa ovvietà in un tribunale.

Perugini: Avevamo beccato i primi proprio perché c’era la vendita a minorenni, quindi era l’unico elemento inequivocabile dell’illegalità. Tant’è vero che i canapai si erano poi premurati di mettere fuori i cartelli: “Vietato ai minori di 18 anni”. Ci siamo appoggiati su questa contraddizione di fondo di dire: scusa se vanno a finire negli armadi, perché non li vendete ai minori? Vuol dire che la finalità è qualcosa d’altro. E lo sapete perfettamente.

(bolle)

OCI: Ecco: questa è l’acqua.

Perugini: Ed è stato uno dei grandi “a tu” sul quale noi abbiamo giocato nel distruggere questi alibi che venivano utilizzati.

OCI: Questi rimangono comunque degli indizi deboli, la partenza dell’Operazione Indoor, nel marzo del 2003, avviene quindi in un contesto in cui la giurisprudenza non è ancora chiara, il dolo eventuale potrebbe non essere sufficiente.

OCI: E mi ha detto un attimo fa che siete partiti un po’ “alla garibaldina”, senza essere sicuri che tutto sarebbe andato bene?

Perugini: “Alla garibaldina” fra virgolette, nel senso che non c’era ancora una giurisprudenza consolidata che potesse confortare quella modalità di intervento che a quel momento la legge ci costringeva a dover provare con “dolo diretto”, cioè tu sai che quel sacchetto va a finire ad essere fumato.

OCI: Io non mi ero mica accorto dell’inizio dell’Operazione Indoor. Mi ricordo vagamente alcuni negozi chiusi, con i sigilli e un foglio A3 affisso sulla vetrina con scritto: “Chiuso per ordine della Magistratura”. In quel periodo tutti avevamo almeno un amico che coltivava erba nell’orto o nel bosco e ci bastava quella.

OCI: Quello che mi ricordo di quel periodo periodo, uno dei punti di riferimento nelle nostre giornate al parco, che era l’Albi. Ora lui non c’è più ma mi torna spesso in mente. Età indefinibile, sicuramente oltre i quaranta… forse quasi cinquanta. Era più grande rispetto a tutti noi. Magro come uno stecco, guance incavate, capelli scuri, immancabile profumo di patchouli, un grande sorriso e una vistosa spilla di una guru indiana dall’aria serena sulla giacca di pile rossa. Madre Meera era il suo culto personale, un culto amichevole e generoso. Basta chiedere a Madre Meera e il tuo desiderio si realizzava.

Anche cose banali, riuscire a prendere il bus quando lo stavi per perdere, o trovare qualcuno che ti offrisse una canna. Avevi finito le cartine, chiedevi alla Madre ed ecco che qualcuno te ne regalava un pacchetto. Funzionava sempre, o quasi. Ma forse, in quegli anni, non era necessaria l’intermediazione divina per esaudire i nostri piccoli desideri. Albi ogni tanto accennava ad un passato a Milano, di eroina e comunità. Problemi con la famiglia, era sieropositivo e ne parlava apertamente. Doveva assumere grandi quantità di farmaci che accompagnava con una serie di integratori naturali che lo facevano stare bene: pappa reale, spirulina, verdure biologiche e le immancabili tisane himalayane. Ai tempi non si faceva più, però Albi rollava canne a tutto spiano, Chiloom di fumo, sapeva tutto di musica e letteratura, ed era molto generoso. Mi aveva regalato un libro di Sri Aurobindo che non ho mai letto.

Eravamo persino andati con lui in un paesino nell’ovest della Germania dove c’era l’ashram di Madre Meera. Una grande sala piena di gente in meditazione, ad un certo punto arrivava la Madre, si sedeva su un piccolo palco ed entrava in una specie di “trance”. Davanti a lei si formava una coda di persone, quando veniva il tuo turno ti avvicinavi, lei ti metteva le mani sulla testa. Non mi pare abbia voluto dei soldi, per me non era stata una grande esperienza spirituale ma me lo ricordo come un bel viaggio.

A suo modo Albi si prendeva cura di noi. Era un grande promotore delle feste al Tassino. Il sabato della luna piena di maggio, tutta la notte al parco. Ogni tanto arrivava la polizia, ogni tanto no. Albi era in qualche modo una figura importante e direi paterna per molti di noi ragazzini di Lugano in quegli stupefacenti anni zero che, ancora non lo sapevamo, ma stavano per finire…

Bazzocco: La prima operazione Indoor è stata fatta il 13 marzo 2003.

OCI: Il capitano di polizia Alfredo Bazzocco, oggi in pensione, che abbiamo già incontrato nello scorso , era in prima linea nella lotta contro i canapai.

Bazzocco: Io fui designato responsabile dell’operazione per quanto riguarda il mendrisiotto, mentre un altro collega per il luganese. La cosa era molto precisa: l’ordine di perquisizione e sequestro.

(cani, auto polizia)

Archivio RSI: Un’inchiesta anti-canapa chiamata Indoor, “al coperto” in inglese. Due sono stati gli interventi coordinati in giornata dal procuratore pubblico Antonio Perugini, uno a Chiasso sul centralissimo Corso san Gottardo, in negozio si chiama Dark Flowers, lì c’era una coltivazione di canapa su due piani con cinquemila piantine…

Bazzocco: A Chiasso, dove sono intervenuto, qualcuno deve aprire, altrimenti la porta deve essere sfondata. Poi troviamo questa incredibile serra in questa abitazione. Ricordo le luci accecanti, l’umidità tutta una serie, veramente una cosa impressionante. E lì bisogna intervenire.

Archivio RSI: Sono intervenuti anche a Bedano, è stata trovata una piantagione con 1’400 piantine, attualmente sono in corso le analisi di laboratorio per stabilire il tenore di THC della canapa trovata…

OCI: Dopo quella prima operazione come una valanga: cinque retate nelle sole ultime due settimane di marzo. Giorno dopo giorno, negozi, piantagioni e laboratori venivano toccati dalle operazioni della polizia, retate che coinvolgevano centinaia di agenti.

OCI: Si ricorda Luca Barghini?

Perugini: Eccome no. È stato il più famoso precursore, lui è stato il grande fautore della venuta in Ticino di tutto questo mercato estremamente lucrativo della droga.

Archivi RSI: Luca Barghini è latitante. Era stato arrestato in un primo tempo ma poi rilasciato. Ed oggi è introvabile…

BARGHINI:: Io quando successe il casino ero in Italia. Arrivarono a casa mia, in una ventina, con i cani, io non so cosa cercavano, anche in negozio entrarono con i cani, è chiaro era pieno di cannabis, cosa porti il cane a fare? Vennero a casa mia, arrestarono la mia compagna, solo per un giorno. Volevo venire su, l’avvocato mi disse no, no. Rimani dove sei, non venire. La sera mi chiamarono i poliziotti che stavano interrogando mia moglie, e a quel punto li, passa un giorno, passa una settimane, mi dicevano rimani giù, rimani giù…

OCI: Eri latitante?

BARGHINI:: Latitante, sì, sì. Lo sbaglio che ho fatto io è di non venire su prima. Di risolverla prima questa cosa.

BARGHINI:: Io se potessi tornare indietro farei solo commercio all’ingrosso, tutto in nero. A questo punto qui, se io pago i contributi, faccio le cose alla luce del sole, da un certo periodo sono un pioniere, vengo chiamato in televisione a fare interviste e poi da un giorno all’altro sono un criminale ricercato in tutta Europa, c’è qualcosa che non mi torna.

OCI: Il 6 aprile del 2003 in Ticino si vota. Eletti: Gendotti, Borradori, Masoni, Pedrazzini e Pesenti. Quella notte un forte vento spazzerà il piano di Magadino e il giorno dopo, lunedì sette aprile, la polizia irromperà anche nell’azienda di Loredano Martinelli.

Martinelli: Mi ricordo anche che è venuto un grande vento di notte e mi ha soffiato su delle plastiche sulle serre. Mi sono arrivati qua cento poliziotti, una cosa, ma neanche in America succedono queste cose. Vengo fuori dalla serra e mi sono spaventato a vedere la polizia. Ho chiesto se avevano bisogno di qualcosa. Chi è lei? Io sono Martinelli Loredano il proprietario. Mandato di arresto dritto in faccia. Mi hanno caricato, mi hanno portato via come un cane. Bloccato tutto il piano di Sementina, mi hanno detto che non poteva più passare nessuno, e io glielo ho detto quando venivate in due poliziotti, uno cresceva già, bastavano in due. Qui hanno buttato per aria tutto, il poliziotto arrivava qui e: “non troviamo niente”, “su dovete trovare qualcosa”. Ma non trovavano niente perché non avevo un grammo di fiori, erano solo talee e basta.

Martinelli: E avevano l’ordine di perquisizione anche della mia casa privata, e mia moglie gli fa: o venite subito o dopo le quattro quando arriva la figlia voi non entrate più…

Signora Martinelli: Erano là sulla chiesa di Sementina, con il mitra. Era una cosa veramente scioccante. Ho fatto diverse notti in bianche che quando chiudevo gli occhi mi sembrava di vedere un film.

Mi hanno fatto un’interrogazione, c’era un poliziotto gentile e uno veramente maleducato, io sinceramente non sapevo veramente niente di quello che succedeva di là, so che faceva queste talee, però sulla vendita e chi acquistava: niente. Quando pagavano, portavo i soldi in banca e basta. Io non so cosa… e loro mi hanno detto che dovevo denunciare mio marito.

Bazzocco: Capisco che l’impatto sul contadino, diciamo così, poteva essere molto duro. Era meglio prevenire facendoci vedere così decisi, magari anche armati, perché chiaramente eravamo armati, che magari affrontare delle situazioni incresciose durante l’intervento. Questo sarebbe stato un peccato.

Martinelli: Mi hanno portato a Camorino e poi mi hanno portato alle celle pretoriali di Mendrisio e lì ho fatto ventinove giorni che non so ancora oggi il motivo perché me li hanno fatti fare. Dopo cinque interrogatori da cinque, sei, sette ore, due poliziotti che mi martellavano, mi hanno bloccato tutti i conti bancari, abbiamo rischiato il fallimento, ho dovuto vendere un terreno per poter pagare i fornitori, non avevo più i soldi, tutto bloccato, avevamo appena i soldi per comprare il pane.

Venturelli: Io mi sono trovato la polizia a casa alle sei del mattino e mi hanno impacchettato perché ero nel consiglio di amministrazione di una ditta, e il problema grande è stato che io facevo il giornalista ragione per cui quando sei indagato diventa abbastanza complicato andare a lavorare.

Martinelli: Lui mi ha domandato perché Martinelli ti sei messo dietro a fare canapa? Scusa un attimo ma lei viene a farmi una domanda così a me? Se ero un idraulico poteva anche domandarmelo, ma sono un professionista di questo lavoro, della floricoltura, per me è un fiore, una pianta, se è da coltivare coltivo. Il Perugini lui è arrivato a bloccare noi, convinto che fermando noi avrebbe fermato l’80% della produzione di canapa in Ticino. Ma si è sbagliato.

Perugini: È come una diga, devi chiudere il rubinetto prima che ti arrivi addosso la valanga. È devo dire che è stato veramente uno stress, perché ho i nervi saldi ma qualcuno più debole rischiava davvero il burn-out.

Venturelli: Io non ho mai capito come facevano a scegliere chi chiudere e chi no. Ho visto delle retate in un quartiere di Lugano e cinquanta metri più in là c’era l’inaugurazione di un altro canapaio.
Sembrava che ci fosse solo un problema di canapa, ma sai Lugano è comunque una pizza finanziaria non da poco e anche questo attira delle grandi problematiche dal punto di vista criminologico: c’era tutto il problema della cocaina e c’è tutto quello che è di ordine corrente di cui le forze dell’ordine si devono occupare.

OCI: E tutto questo impegno non vi toglieva energie ad altre inchieste, ad altre…?

Bazzocco: Questo un po’ sì. Dal lato dell’antidroga sì, qualcosa abbiamo dovuto per forza tralasciare. L’ordinario è stato un po’ congelato.

Nel solo primo mese di operazione Indoor gli agenti hanno sequestrato 130’000 piante di canapa e oltre 400 chili di canapa secca. Questo non generava soltanto un problema di risorse umane ma c’era anche un problema di spazi, perché tutta quest’erba sequestrata doveva venir stoccata da qualche parte, e quindi servivano immensi depositi.

Perugini: Avevamo un grosso problema logistico, tanto è vero che abbiamo dovuto riesumare allo scopo di deposito, tutta una serie di infrastrutture militari che erano state abbandonate.

Ce ne siamo tutti accorti quando, improvvisamente, è scoppiato il caso della polveriera di Arbedo.

Bazzocco: Lì ad Arbedo, diciamo in gran segreto, una quantità enorme di marijuana è stata depositata lì.

Perugini: Erano quintali, diversi quintali e ovviamente la canapa era contenuta in diversi sacchi, enormi. Questo era un deposito militare già securizzato di per sé, perché venivano depositate le armi e gli esplosivi, e si riteneva che fosse sufficiente senza dover lasciare i piantoni, ecco, in pianta stabile.

Archivio RSI: Un furto clamoroso, uno smacco pesante per le autorità cantonali. – Io non parlerei di smacco, quanto di fatto sconcertante e grave sul quale dobbiamo fare chiarezza.

Bazzocco: Qualcuno l’aveva rubata. Io ho avuto l’opportunità, non la chiamo fortuna, di essere l’ufficiale di picchetto quel giorno. È un disastro. Cosa facciamo? Se non riusciamo a recuperarla subito facciamo una magra figura?

Archivio RSI: La refurtiva è già stata recuperata? – No. Non ancora.

Bazzocco: Non siamo mai riusciti a capire come hanno avuto la notizia che lì c’era.

Archivio: Purtroppo non è così semplice per tutta una serie di questioni legate all’inchiesta e quindi che non posso spiegare, ora ma è sicuramente un ingente quantitativo nell’ordine di diverse centinaia di chili.

OCI. Ma una talpa probabilmente?

Bazzocco: Chiamiamola pure anche talpa, ma qualcuno che ha visto qualcosa e poi da lì la notizia è uscita.

Archivio: La responsabilità di chi ruba è del ladro, non è della polizia.

Bazzocco: Lì si trattava di iniziare un’indagine che non era facile. Anche per evitare che arrivasse prima il giornalista che noi… no?

Archivio RSI : Dovevano sorvegliarla un po’ meglio. È un po’ da repubblica delle banane, se non la lasciamo vendere ai canapai, chi la deve vendere? Il mercato nero. Dovevano aspettarsela, hanno chiuso tutti i negozi, hanno fatto sì che i giovani non potevano più comprare liberamente la canapa, hanno fatto un errore strategico.

Bazzocco: Si trattava di valutare con che cosa sono andati via, la massa era tanta, veramente tanta…

Perugini: Sono dovuti andare con dei furgoni…

Bazzocco: Alla fine di quella mattinata la decisione è stata su tutti gli autonoleggi del cantone facciamo un’analisi, sui furgoni che poi abbiamo analizzato abbiamo trovato le tracce, c’erano dei nominativi, e alla fine loro medesimi ci hanno indicato dove avevano trasportato tutto il quantitativo, all’inizio della Verzasca, sotto la diga dove l’abbiamo trovata e recuperata.

OCI: Sarebbe stato un po’ uno smacco?

Bazzocco: Assolutamente, abbiamo sequestrato con tanta fatica e adesso questi qui ce la portano via e la ributtano sul mercato di nuovo, facendo soldi a palate…

OCI: Com’è che è finito tutto, quando è che si è deciso ok il problema è risolto?

Perugini: Quando è stato chiuso l’ultimo canapaio, proprio perché la convinzione era quella di dire che se ne lasciamo operativo anche solo uno, come una metastasi questa riprende e si diffonde esattamente come è avvenuto prima.

OCI: Alla fine l’Operazione Indoor ha portato alla chiusura di 75 canapai e alla scoperta di 70 coltivazioni. 268 persone fermate e 132 arrestate. 4,2 tonnellate di erba, 200mila piantine e 4,5 milioni di franchi in contanti sequestrati.

OCI: E sul territorio tutte le persone che consumavano canapa, chiusi i canapai dove hanno…?

Perugini: Hanno ricominciato a usare quei canali che conoscevano già prima queste operazioni. Se durante l’epoca dei canapai in Ticino, si rifornivano ovviamente in loco, hanno ripreso ad andare a Zurigo, in altre località, a rifornirsi di quello che il mercato poteva mettere a disposizione.

OCI: Anche per Perugini i risultati dell’Operazione Indoor sono chiari: chiuso l’ultimo canapaio la gente non ha smesso di fumare ma è ritornata ad approvigionarsi sul mercato nero. Io di quegli anni ricordo un cambio di atmosfera. Non più masse di persone, stone, un po’ inebetite ma sorridenti, sono arrivati i volti tirati dalla cocaina. Con le conseguenti liti, risse che finivano a bottigliate. A me per fortuna la cocaina non è mai interessata, ho sempre pensato che fosse una droga borghese.

Venturelli: Avevano inondato il mercato di cocaina a bassissimo costo, questi ragazzi andavano sul mercato nero e cercavano erba e non se ne trovava più. Però se ti vuoi sballare io c’ho questa e costa anche poco. Io mi ricordo che ho intervistato 5-6 ragazzi che mi dicevano che avevano iniziato cosî con la cocaina perché non trovavano più erba. Ed è lì che è stato complicato perché io dissi queste cose in un servizio che feci per Falò e questa cosa passò malissimo.

Archivio RSI Falò: Sul mercato nero magari la rpima volta andavi li a cercare canapa, e poi loro ti dicevano oltre alla canapa ho altre cose: cocaina, extasi, LSD, di tutto vendevano.

Venturelli: Nel 2003 quando c’è stata l’operazione Indoor erano tutti concentrati lì e la cocaina dilagava. Adesso ce n’è in giro veramente dappertutto. Ma cosa succede quando una droga diventa molto diffusa automaticamente la purezza della sostanza scende, è sempre meno pura e quindi diventa sempre più pericolosa perché tu non sai mai con cosa la tagliano.

OCI: Intanto la mia vita andava avanti. Ho iniziato la SUPSI come operatore sociale, ho fatto uno stage prima alla clinica psichiatrica, e poi ho lavorato in un centro per tossicodipendenti. Ho visto da vicino coetanei in crisi psicotica. Ho assistito ad un paio di ricoveri coatti nella mia cerchia di amici. Pian piano anche per me qualcosa ha iniziato a cambiare. Ho l’impressione che fumare erba sia stata un elemento che ha contribuito a formare alcuni aspetti importanti della mia personalità, mi ha aiutato a fare alcune scelte fondamentali che poi hanno condizionato il resto della mia vita. Ma ad un certo punto fumare è diventato un fardello che rendeva difficili alcune relazioni sociali. Ne parlo anche con il mio ex compagno di banco con cui, anni prima, avevamo fumato insieme la mia prima canna.

AMICO: Quella è una bella domanda, perché da una parte anche io credo che sono stato fortemente influenzato dal consumo di ganja. Sicuramente il consumo di ganja mi ha radicalizzato in un certo periodo, anche molto forte, nei confronti dell’approccio alla società. Quindi ero molto chiuso, molto critico, iper-critico. È stato d’impiccio ma è stato anche tremendamente importante. In fondo io sono il risultato anche di quel periodo. Non posso dire che ho fatto degli errori, che se tornassi indietro nel tempo non avrei quel periodo in cui comunque ho consumato in modo massiccio canapa.

OCI: Sono andato avanti ancora per un po’ a fumare ganja a casa e con pochi amici. E poi ad un certo punto soltanto “fumo”, perché l’erba mi metteva una grande agitazione che non sapevo più gestire.

AMICO: Se prima, all’inizio, il consumo assiduo era molto ricreativo: mi divertivo, era bello guardare le stelle, piuttosto che contemplare la natura, chiacchierare, parlare di ricordi, ridere. Successivamente invece l’aspetto più interiore delle proprie paturnie interiori, quindi: Cosa faccio, Chi sono? Come mi pongo nei confronti delle cose? Piuttosto che essere coerente con i propri ideali in quello che si fa o scelte più banali come “Cosa faccio della mia vita?” diventavano, consumando ganja, dei cubi di rubik da risolvere…

OCI: Fumavo sempre meno e poi anche quel poco non mi dava più grandi soddisfazioni, mi metteva una certa ansia, non era più un piacere e ho deciso di smettere, e non è stato difficile. Anzi. Ad un certo punto è stato più facile smettere con le canne che continuare a fumarle.

(TUONO)

OCI: La cosa più complessa da fare è stata un’altra. Avevo l’impressione che smettere di fumare mi avrebbe costretto ad accettare tutta una serie di compromessi sulla vita: adeguarmi al sistema. Lasciar perdere una serie di battaglie che prima ritenevo importanti, abbandonando quella vita comunitaria e ricca di utopia che in fondo mi piaceva molto. L’esercizio che ho cercato di fare è stato quello di far filtrare un po’ di quella spensierata follia, di quell’anarchica voglia di cambiare il mondo e di far parte di una comunità solidale anche nella mia vita senza canne. Non so se ci sono riuscito. Guardandomi indietro, però, ho proprio l’impressione che si sia persa una grande occasione. È stato un peccato lasciare in mano al libero mercato una sostanza che non meritava di essere trattata come una merce qualsiasi e che avrebbe avuto bisogno di più attenzione e rispetto.
E poi mi chiedo quanto tutto questo abbia influito nella costruzione del mio senso di giustizia e rispetto alla fiducia che oggi ho nelle istituzioni. Che differenza passa fra lecito e illecito? Una cosa può essere allo stesso tempo giusta ed illegale? Bisogna sempre rispettare una legge ingiusta? Comunque sia questo è stato, anche per me, la fine di quegli anni, la fine di un periodo importante della mia vita, in cui sono cresciuto e sono diventato adulto. È stata la fine di quegli stupefacenti anni zero.