da Naufraghi.ch – 11.10.2021 / Enrico Lombardi

La realtà dell’autogestione, che ha attraversato tutte le aree urbane europee e svizzere negli ultimi decenni, è salita da noi brutalmente alla ribalta della cronaca per i fatti legati all’abbattimento di parte dell’ex-Macello. “Macerie” è ora il titolo di una serie di nove episodi proposti settimanalmente, a partire da domani in podcast anche su “Naufraghi/e”; un titolo che evoca infatti, un evento che dopo mesi resta insoluto, e lascia sul terreno numerosi interrogativi relativi alle responsabilità di quanto avvenuto così come al futuro prossimo dell’autogestione stessa. Quella dell’autogestione è però anche un’esperienza che ha avuto da noi una sua particolare “storia”, forse non ancora sufficientemente indagata da contributi specifici, ed è forse da qui che dobbiamo cominciare per capire questo progetto. Ne parliamo con il suo autore, Olmo Cerri.

Ascolta la presentazione della serie

Non un saggio, non un volume di tipo storico, ma un racconto personale e allo stesso tempo corale “sonoro” che prende forma in una serie podcast. Perché questa scelta? Perché per Olmo Cerri, regista e documentarista, ha prevalso la scelta di un prodotto “audio” e non video?

Prima di tutto ci tengo a ricordare che questo è anche un lavoro collettivo, frutto dell’impegno di diverse persone: c’è un gruppo editoriale, chi ha ricercato negli archivi del CSOA, chi ha curato la musica e le grafiche e alcune persone che si occupano della post-produzione.

Credo che sia sempre importante scegliere il mezzo giusto per la storia che si vuole raccontare, in questo caso si volevano ripercorrere degli eventi, che possiamo definire a pieno diritto “storici”, in merito ai quali non vi è un grande supporto a livello di immagini e di archivi. Esperienze totalizzanti e coinvolgenti come quelle relative all’autogestione spesso lasciano poco spazio per la “documentazione” in quanto le persone coinvolte sono così impegnate a vivere l’esperienza da non preoccuparsi di raccontarla. Il documentario sonoro quindi, senza bisogno di immagini, lascia spazio alle voci, alle memorie e ai racconti; ha degli elementi fortemente emotivi ed evocativi che credo si sposino davvero bene con la storia che si voleva raccontare. Il podcast permette da un lato una narrazione estesa, priva dei rigidi schemi dei palinsesti, dall’altro una fruizione altrettanto autonoma: una grande libertà che mi è parsa ideale per raccontare una storia come questa, poderosa e corale.

Numerose le testimonianze che avete raccolto a cominciare dalla scelta di parlare, tutti, anche la voce narrante, in prima persona, dichiaratamente implicati in modi e tempi differenti: come avete pensato di “organizzarle” nel montaggio degli episodi?

L’obiettivo era di far sì che il racconto corale riproponesse in qualche modo la varietà di voci e di punti di vista che contraddistingue una tipica assemblea. Voci che si sommano, si completano e a volte si contraddicono. In questo audio-documentario non c’è pretesa di completezza o oggettività, è piuttosto “un racconto appassionato”. La storia dell’autogestione inizia ben più lontano, ma il nostro racconto sceglie un punto di partenza – l’insurrezione zapatista del 1994 i suoi echi, giunti fino alle nostre latitudini – per arrivare rapidamente alla Lugano del 1996: la Festa del Tassino repressa dalla polizia, l’occupazione dei Molini Bernasconi di Viganello da parte di Realtà Antagonista. E poi l’incendio – doloso e doloroso – dei Molini, lo spostamento al Maglio di Canobbio, lo sgombero, i venti lunghi anni al Macello di Lugano fino al parziale abbattimento della struttura, avvenuto la scorsa primavera. L’audio-documentario però va oltre i confini di Lugano e racconta anche delle esperienze locarnesi, di Casa Cinzia a Bellinzona, della Colonia di Mendrisio.

E in un certo senso supera anche i confini temporali degli ultimi 25 anni, con un flashback negli anni ’70 reso possibile grazie allo storico Danilo Baratti, con il quale ripercorriamo i movimenti ticinesi di quegli anni. C’è davvero tanto da raccontare ed è stato subito chiaro che non avremmo potuto essere completi e onnicomprensivi. Questa è solo “una” delle possibili storie che si sarebbero potuto raccontare.

Quale tipo di adesione c’è stata, e quale “disponibilità” da parte di protagonisti e testimoni, che in tutti questi anni hanno spesso preferito “non esporsi” di principio?

La disponibilità è stata tanta. Il fatto di raccontare questa storia – almeno parzialmente – dall’interno ha sicuramente reso più semplici alcuni rapporti. Abbiamo raccolto decine di ore di interviste, intime e appassionate che permettono di raccontare vari aspetti dell’esperienza di autogestione. È importante ricordare però che chi parla lo fa a titolo personale, non è una presa di posizione dell’assemblea o del Molino. Comunque non penso che da parte delle persone coinvolte nell’autogestione ci sia di principio una volontà di non esporsi: nell’audio-documentario vi sono diversi racconti di brutte esperienze avute con i giornalisti che hanno travisato le informazioni raccolte e hanno cercato a tutti costi lo scoop (una troupe Mediaset infiltrata nell’assemblea con camere nascoste, il Blick che commentava una performance artistica titolando in prima pagina “Pornoshow im Jugenzentrum”, articoli ed editoriali pieni di pregiudizi). Vi sono poi problemi di ordine legale, un contesto sempre più repressivo e sempre meno tollerante. Nonostante diverse brutte esperienze, vi sono sempre stati contatti con i giornalisti che si sono posti nei confronti dell’autogestione con atteggiamenti non “predatori”. Ho scorso buona parte della rassegna stampa raccolta nell’archivio del Molino e sono centinaia le interviste rilasciate, i comunicati stampa e i reportage girati negli spazi autogestiti in Ticino.

C’è in questo lavoro l’ambizione o il desiderio di “spiegare l’autogestione” in questo particolare momento, in cui, forse, comincerà un nuovo capitolo ancora pieno di incognite, a chi la vive solo di riflesso, e con non pochi pregiudizi?

L’obiettivo di questo podcast non è didattico, non si vuole spiegare qualcosa a qualcuno. È vero però che in MACERIE si troveranno molti elementi utili per capire meglio l’autogestione e le sue modalità di funzionamento: dinamiche difficili da comprendere e condividere, proprio perché antagoniste alle modalità di comunicazione, relazione e organizzazione classiche, e a volte contraddittorie, non immuni da errori e ripensamenti. Il risultato mi sembra sia un racconto interessante e appassionante, che, a tratti, mi sentirei di definire epico.

Sulla base del materiale raccolto possiamo pensare o prevedere che anche nell’ambito degli stessi “molinari” questo lavoro potrà magari servire a prospettare qualche orizzonte per il futuro? Possiamo immaginarlo come una specie di “documento identitario”?

Non è questo lo scopo. Ma come ogni racconto e come ogni ricerca storica sicuramente anche MACERIE potrebbe aiutare a costruire un’identità collettiva e condivisa e a riflettere su di essa. Non solo per chi ha partecipato all’esperienza dei Molini, ma per la popolazione tutta. Possiamo cercare di rimuoverli o di dimenticarli, ma i Molini e l’autogestione fanno parte della storia di Lugano e del Cantone.

In questo senso, le recenti ”aperture” del Municipio, nel mettere a disposizione lo “Studio Foce” per eventi organizzati autonomamente in che misura può venir considerata un’opportunità per l’autogestione? O si tratta piuttosto di una proposta che va incontro genericamente alla necessità di spazi aggregativi per i giovani (quelli sgomberati dal parco di Villa Saroli)? In che modo e in che misura, l’autogestione è un capitolo a sé, preciso e profilato, dell’eterna “questione giovanile”?

Personalmente penso che l’offerta di spazi per attività culturali e giovanili avrebbe dovuto essere già ampliata in passato. C’è un pauroso ritardo.

Certo è che una sala messa a disposizione per qualche serata, con limiti rigidi e con sorveglianza istituzionale, non può essere definita uno spazio autogestito, né essere considerata una risposta all’esigenza di spazi liberati. Crederla una soluzione è miope e irrispettoso. L’autogestione, poi, non è una questione giovanile e non è una questione di semplice offerta socio-culturale. È un modo diverso di intendere la società, la cultura e la vita in generale.

Il podcast può essere ascoltato da domani su naufraghi.ch così come su Spotify e su Apple podcast. Inoltre sarà ritrasmesso da Radio Gwen e da alcune radio di movimento italiane.