reportage di Olmo Cerri (qui in versione leggermente più estesa di quanto pubblicato sul numero 22 ddel 2 giugno 2023 di Agricoltore Ticinese – Versione pdf).

A fine aprile, con una piccola delegazione di artisti e cineasti della Svizzera italiana, siamo partiti verso il Djebel Semmama, monte non lontano dalla cittadina di Sbeïtla, a circa 300 chilometri dalla capitale Tunisi, per partecipare all’undicesima edizione della “Fête des Bergers”, la festa dei pastori. 

In questa zona arida e montagnosa del nord Africa, i pastori nomadi e le loro greggi hanno una storia millenaria. È qui che si svolge la Festa dei pastori, organizzata dal “Centre Culturel Des Arts Et Métiers” e sostenuta anche da Pro Helvetia e dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione svizzera. Le giornate sono trascorse fra momenti di incontro, spettacoli e atelier che hanno permesso alle delegazioni arrivate da vari paesi dell‘Europa di conoscere l’identità montana di questi luoghi. 

Un’oasi di cultura e socialità

Il Centro Culturale, cuore pulsante di questa festa, nel corso dell’anno si occupa di offrire una formazione a una trentina di donne. Qui imparano a distillare olii essenziali, in particolare di rosmarino e ginepro, e a lavorare le fibre di alfa, una pianta erbacea che cresce spontaneamente nelle zone desertiche di tutto il nord Africa. Questa fibra viene intrecciata per farne stuoie, cappelli e altri oggetti di uso comune. Il centro cerca di promuovere uno sviluppo economico e culturale per dare prospettive alla popolazione cercando di evitare la radicalizzazione dei giovani. 

Alla sede del Centro, composta da una serie di prefabbricati disposti attorno a un cortile in muratura protetto dal sole, le giornate trascorrono lente. Ci sono molti tempi di attesa che vengono riempiti da chiacchiere e tè alla menta. Gli orari stampati sul programma non vengono quasi mai rispettati, gli eventi accadono all’improvviso. È tutto molto diverso dal modello di festival al quale siamo abituati in Svizzera. «Non è un festival, è una festa» ci tiene a precisare Adnène Helali, da sotto il suo turbante colorato. È lui il coordinatore della festa: da anni si spende per la promozione di questa regione. 

Dove non arriva l’organizzazione, arriva però la calorosa accoglienza di questa gente di montagna: così un gruppo di donne riesce a cucinare per settanta ospiti con solo cinque piccole pentole di alluminio. Couscous, carne di capra e pecora, ceci, peperoni verdi e fagioli sono gli ingredienti che vengono combinati ad ogni pasto. Il pane viene cotto in forni di argilla scavati nella terra. Vari gruppi di musica tradizionale suonano durante tutta la giornata. Onnipresente un flauto chiamato “gasba” intagliato dai pastori stessi usando le canne di una pianta simile al bambù. È questo flauto che suona anche in occasione del concorso di tosatura che avviene nel pomeriggio di venerdì. 

Intorno a noi, collinette basse, terreno sabbioso, qualche raro arbusto di rosmarino, ginepro e altre piante che non riconosco, molti cactus, tantissima spazzatura in ogni angolo e un caldo secco che, come da luogo comune, non è poi così insopportabile.

«Qui non siamo ancora nel deserto» mi spiega Simone, un giovane calabrese che da anni ha un negozio di artigianato a Tunisi, «per raggiungere il deserto, quello vero, occorre spostarsi ancora almeno 200 chilometri a sud, fino alla città di Tozeur». Rimango un po‘ deluso, il paesaggio che ci accoglie è sicuramente quanto di più simile al deserto abbia mai visto in tutta la mia vita. 

Al pascolo fra le mine

Per tutta la durata della manifestazione agenti della “Guardia civil”, armati con delle mitragliette, sorvegliano la zona, rendendo il clima a tratti surreale. I terreni nei dintorni del villaggio sono stati minati da gruppi radicali e questo, oltre a essere molto pericoloso per gli abitanti, impedisce a capre e pecore di poter pascolare privandole così di importanti fonti di foraggiamento. Un militare in pensione, che qui tutti chiamano “le Général”, mi racconta che, mentre era in servizio, un collega ha calpestato una mina ed è saltato in aria. Lui è rimasto ferito ad una gamba e ora si muove con l’aiuto delle stampelle. Dà una mano ai ragazzi del centro culturale mettendo a disposizione il suo polveroso pick-up. Anche le camionette della “Guardia civil” vengono usate per trasportare i musicisti più anziani.

Durante la piccola conferenza stampa a cui partecipa anche una troupe del primo canale tunisino, Adnène spiega che la Festa dei pastori è anche un modo di «Riprendersi il territorio” e per non lasciare ai gruppi terroristi islamici il controllo di queste zone». 

Tre anni senza pioggia

La Tunisia, oggi, sta vivendo un periodo molto difficile. Dodici anni fa la “primavera araba”  fece cadere il regime del presidente BenAli. I tunisini speravano che questa rivoluzione avrebbe fatto sbocciare democrazia e prosperità, ma nel frattempo è arrivata invece una stagione di grande crisi economica e di forte instabilità politica.

La preoccupazione principale delle persone incontrate in questi giorni sembra essere “la sécheresse”, la siccità. Siamo a fine aprile, di giorno la temperatura supera abbondantemente i trenta gradi. È da almeno tre anni che non si registrano piogge consistenti e da quattro il paese vive una costante penuria d’acqua, che minaccia la sicurezza alimentare del paese. Gli uliveti non vengono irrigati regolarmente perché il costo delle autobotti non è sostenibile dalla popolazione locale. Fa tristezza vedere gli scheletri degli ulivi morti secchi e senza foglie ai bordi delle strade. L’acqua potabile è razionata e la zona si sta sempre più desertificando. Il cambiamento climatico qui non è qualcosa di cui si sente parlare, ma una realtà vissuta quotidianamente. È sempre più problematico per gli animali da pascolo trovare di che di nutrirsi e l’alto costo dei cereali d’importazione, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, ha fatto sì che gli allevatori più poveri non possano più acquistarli. Per questo motivo si stanno sperimentando nuove forme di foraggiamento.

Mangiare cactus

All’interno del Centro Culturale si tiene anche un piccolo convegno intitolato “Sfide della ricerca per la resilienza e lo sviluppo del settore dei piccoli ruminanti nelle zone semi aride”. Un po’ per proteggermi dal sole che inizia a scottare e un po’ per cercare di capire qualcosa di un mondo che non conosco, entro nella sala e mi siedo in ultima fila. L’obiettivo di questa giornata di studio è quello di condividere ricerche che possano aiutare il mondo agricolo ad affrontare la crisi climatica. Si fa un gran discutere di nuove tecniche di foraggiamento compatibili con la mancanza d’acqua. Molti allevatori hanno iniziato a nutrire gli animali con le pale dei cactus, che però prima di poter essere consumate devono venir lasciate al sole qualche giorno e poi le spine devono venir bruciate sul fuoco o con un cannello a gas.

Nel pomeriggio “le Général” ci accompagna a trovare Rachida e la sua famiglia, non lontano dal centro culturale. Ci mostrano il loro piccolo gregge di capre e pecore, che sembrano apprezzare questa nuova forma di alimentazione. I pezzi di cactus vengono divorati in pochi secondi. I figli di Rachida mi invitano a prendere in braccio un capretto. È caldo e morbido: è una bella sensazione che non provavo da tempo.

I Ghar Boys di Sbeitla

In un sala del Centro Culturale sta facendo le prove il gruppo dei Ghar Boys, giovani breakdancer che non mi sarei mai aspettato di incontrare qui. Mi fermo a parlare con loro. Hanno fra i 16 e i 25 anni e vivono tutti a Sbeitla o nei paesi limitrofi. Sono felici della presenza del centro culturale, perché dà loro uno spazio dove ritrovarsi e passare il tempo. Hedi dice che, quando finirà la formazione nel campo dell’animazione turistica, lo aspetta un posto di lavoro in un’attività gestita da amici, a circa 200 chilometri da qui. Gli altri componenti del gruppo invece non hanno dei progetti così chiari. C’è chi vorrebbe emigrare in Europa per studiare o per lavorare: legalmente se è possibile, ma è molto difficile ottenere dei permessi. Tentare la fortuna come tanti altri coetanei con una traversata via mare è una prospettiva poco allettante ma che viene comunque presa in considerazione. Mi citano i nomi di conoscenti che sono partiti negli scorsi anni e le città europee in cui si trovano ora. Ma questo argomento ben presto stufa, e il rapper HB Wolf preferisce mostrarmi sul cellulare alcuni videoclip girati su una terrazza nel centro di Sbeitla. Probabilmente l’argomento dell’emigrazione interessa più a me che a loro: ogni anno dalle coste della Tunisia le partenze sono moltissime, secondo i dati delle autorità locali dall’inizio di quest’anno sarebbero partite almeno 20’000 persone. Molte di queste provengono dall’Africa sub-sahariana e sono in Tunisia solo in transito. In questi primi mesi dell’anno si contano già almeno quattrocento morti su questa rotta.


Genealogie caprine

Nel gruppo partito dalla Svizzera Italiana c’è anche Piera Gianotti, capraia di origini bregagliotte che vive da anni in Capriasca. Piera è anche attrice: ha presentato il suo spettacolo intitolato “Genealogie Caprine”, con la regia del marito Emanuel Rosenberg, anche lui presente nella comitiva.

Lo spettacolo è stato tradotto per l’occasione in francese e la scenografia ridotta per poter essere infilata in due valigie.. Piera in scena prepara del formaggio e racconta la storia delle sue capre e della sua famiglia. Emerge la difficoltà di riuscire a tenere insieme una vita fatta di attività teatrale (che la spinge a viaggiare e ad essere lontana da casa) con l’attività agricola e il lavoro con il suo piccolo gregge che, invece, richiede stanzialità e lavoro quotidiano e costante.

Sono molte le signore del villaggio che al termine dello spettacolo si avvicinano a Piera per guardare con più attenzione le immagini delle capre della Capriasca.

Pastori e break dance

Presenti alla festa anche Juri Cainero (originario di Arzo) e Beatriz Navarro Hernández, che con la loro compagnia ticino-marsigliese Onyrikon hanno proposto uno spettacolo itinerante intitolato M’rachines. Unisce la musica tradizionale suonata dal piccolo gruppo dei pastori di Sbeitla, con una proposta musicale e coreografica contemporanea che coinvolge anche il gruppo di breakdeancer di cui abbiamo parlato qualche paragrafo fa. Pelli di animali e fibre di alfa intrecciata vanno a formare delle maschere mostruose in grado di essere apprezzate sia dai figli dei pastori che dai delegati del governo che assistono allo spettacolo. Tamburi tradizionali e vecchi bidoni di latta sono utilizzati come percussioni.

Dopo questa prima rappresentazione, lo spettacolo è partito per una tournée che seguirà le tracce dei percorsi della transumanza, toccando diversi villaggi rurali e alcuni villaggi nel centro-nord del paese. Il più giovane fra i ragazzi attivi nel gruppo non era mai uscito dalla regione, non era mai stato nemmeno a Tunisi, lo ha fatto per la prima volta in occasione della tappa della tournée che si è tenuta a inizio maggio presso la sede dell’ambasciata Svizzera.

Nel gruppo partito dal Ticino c’erano anche la giornalista Sara Rossi Guidicelli e il regista Manuel Perrone che ha presentato al pubblico il suo cortometraggio dedicato a Claudia Cardinale, forse non tutti sanno che l’attrice è nata a Tunisi. Io invece ho avuto il piacere di proiettare il mio documentario “Al film dal Nicolin“, in cui l’agricoltore Niculin Gianotti racconta della sua vita fra Bregaglia e Ticino. I registi Aron Anselmi e Alan Koprivec hanno filmato questo viaggio che diventerà un piccolo documentario.

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