Versione originale in italiano di Chiara Fanetti (Cinebulletin marzo 2024)

Restare in ascolto

Ritratto di Olmo Cerri, regista di documentari e autore di podcast, tra i protagonisti della scena culturale ticinese impegnata nella richiesta di spazi per l’arte e la condivisione. 

Il primo incontro con l’autogestione lo vive durante l’infanzia a Sonvico, il paesino in collina dove è cresciuto, a una decina di chilometri da Lugano. Ai ragazzini del villaggio era stata affidata una stalla, che loro hanno trasformato in una sorta di locale, di ritrovo, dove si poteva suonare e proporre attività collettive. Per Olmo Cerri la vita comunitaria è iniziata presto; i suoi genitori sono sempre stati impegnati politicamente: «mi è sembrato un modello da seguire. Alle prime manifestazioni del Molino sono andato con mio padre».

L’audiovisivo come attivismo

Nato nel 1984, Olmo Cerri è troppo piccolo per frequentare la prima sede del Centro Sociale Autogestito Il Molino a Lugano ma ha già 18 anni quando avviene lo sgombero del Maglio, dove gli autogestiti occupavano un ex grotto da alcuni anni. Inizia a partecipare alle assemblee, impagina volantini, offre una mano dove e come può: «mi sono sentito utile in quella realtà, era un momento in cui dentro il Molino c’era gente che faceva un lavoro attivo per integrare persone nuove, accoglierle, spiegare cosa stava succedendo». Il contatto diretto con l’attivismo e lo spontaneo interesse per la Storia e le storie portano Olmo Cerri a ricorrere per la prima volta all’audiovisivo nel suo percorso lavorativo come operatore sociale. «Abbiamo iniziato a fare brevi documentari sulle storie delle persone tossicodipendenti nel luganese. In quel momento ho capito che ciò che m’interessava era raccontare le vicende della gente. Poteva essere un modo politico di fare le cose: dare voce a chi non l’aveva».

Coerenza spontanea 

Non si può parlare dei documentari e dei lavori di Olmo Cerri senza prima aver fornito il giusto contesto. Tutto corre su questo unico filo che unisce etica, filosofia di vita, attivismo, dimensione comunitaria, territorio, ecologia, storia, lotta. Dai primi filmati girati durante una manifestazione antimilitarista ad inizio anni 2000 fino al documentario presentato alle ultime Giornate di Soletta, «La scomparsa di Bruno Breguet» (Dschoint Ventschr Filmproduktion, SRF e Associazione REC). Un film che, ripercorrendo una vicenda quasi rimossa dalla memoria collettiva ticinese (quella del militante politico svanito nel nulla nel 1995), parla delle disillusioni del presente e delle speranze del passato, per un futuro che sembra sempre più incerto. Un lavoro che ha rappresentato per Cerri anche una profonda riflessione personale, sulla poca efficacia dell’attivismo al giorno d’oggi ma anche sul potere della contestazione – individuale e collettiva – per cambiare il mondo. Anche l’Associazione REC, che ha costruito con altri registi e professionisti ticinesi, è un progetto collettivo, «è un po’ una casa, non mi sembra di lavorare quando sono lì per i miei progetti». Progetti che sono sempre tanti e si traducono in molti modi: documentari televisivi e cinematografici, podcast, audio doc, libri a fumetti. I temi rispecchiano quelli cari al regista: orti collettivi, agricoltura solidale, storie di emigrazione, la diaspora italiana, piccoli angoli di territorio che si raccontano da soli o attraverso i loro semplici o stravaganti personaggi come Nino Zucca, protagonista di «Swiss Elvis», realizzato per la trasmissione «Storie» della RSI nel 2018.

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Un atto di fiducia 

«Io ho l’impressione di non essere capace di far niente. Non so sciare, non so suonare nessuno strumento, non conosco le lingue, non sono laureato. Provo a fare le cose ma devo impegnarmi tanto per riuscire. Però questo mi permette anche di essere estremamente indipendente ed è sempre stata una cosa che mi ha appassionato, mi ha divertito, ha dato senso alla mia vita». Olmo Cerri è modesto e sottovaluta molti aspetti del suo percorso forse, non può negare però che, probabilmente anche grazie alla sua formazione di operatore sociale (ottenuta prima di frequentare il CISA), ha la capacità di ispirare fiducia. Lavora con una piccola squadra, non vuole essere ingombrante con chi si affida a lui per raccontare la propria storia, rifiuta qualsiasi forzatura nei confronti dei suoi intervistati e cerca di costruire con loro una relazione che non sia predatoria. Ha lavorato così anche con i protagonisti del documentario «Non ho l’età» (Amka Films, RSI e tempesta srl, 2017), che racconta le vicende di chi, a metà anni ’60, ha raggiunto la Svizzera dall’Italia per trovare un lavoro, vivendo gli anni complicati dell’epoca Schwarzenbach, gli episodi di razzismo e di sfruttamento o ancora le separazioni dai famigliari, affrontate grazie alla solidarietà della comunità italiana presente in tutto il Paese. Un film che ha viaggiato molto, anche all’estero: «siamo stati ad Ankara, Istanbul, in Polonia, è stato proiettato anche in Brasile. È anche un po’ una storia di famiglia, mia nonna era veneta». C’è un po’ di Olmo in ognuno dei suoi progetti, in un flusso di reciproco arricchimento, ben visibile a chi osserva la sua carriera.

Racconto collettivo 

C’è un po’ di lui anche in «Quegli stupefacenti anni zero», un podcast prodotto da RSI nel 2023 in cui si racconta l’epoca dell’esplosione dei canapai in Ticino. Un fenomeno unico che ha colto impreparati tutti, dalle autorità alla popolazione, un limbo legale che ha avuto il suo impatto anche su chi, come Olmo, in quel periodo muoveva i primi passi nell’età adulta. «È un’esperienza che abbiamo vissuto come generazione ed è interessante da raccontare». Di nuovo, un grande «noi» che rappresenta la Storia. È nato con questo stesso principio, durante l’epidemia di Covid19, anche «Strani giorni», un diario sonoro collettivo a cui hanno partecipato numerose persone, inviando messaggi vocali e registrazioni, raccontando la loro quotidianità durante un evento senza precedenti. Negli anni Olmo Cerri non solo si è guadagnato la fiducia della gente ma ha anche dimostrato la rara capacità di sapere costruire ponti attraverso i suoi progetti audiovisivi: tra generazioni, tra passato e presente, creando momenti di condivisione, in linea con la sua persona, la sua etica e il suo lavoro. «Se hai una comunità di riferimento puoi sopravvivere a qualsiasi problema. Tutte le esperienze che mi sembra che abbiano un senso sono quelle che mettono insieme persone».

Spazio, ultima frontiera

Anche se l’esperienza dell’autogestione è ancora attiva in Ticino, il collettivo Il Molino è senza una sede dal maggio del 2021, quando gli spazi dell’Ex Macello di Lugano sono stati sgomberati e demoliti da un’operazione della polizia cantonale autorizzata dal Municipio cittadino (un’inchiesta è ancora in corso). Olmo Cerri, a margine di questi fatti, ha realizzato un podcast di 12 episodi per raccontare 25 anni di CSOA il Molino. Il titolo, eloquente, è «Macerie». Il regista in questi anni si è fatto portavoce della cronica mancanza in Ticino di spazi per la cultura indipendente anche con l’Associazione Idra, costituita da organizzatori culturali attivi sul territorio da molti anni. Il primo progetto dell’associazione è stata La Straordinaria, un programma interdisciplinare di eventi distribuito su tre mesi (da dicembre 2022 a marzo 2023) che si è svolto nella Tour Vagabonde, struttura itinerante nata a Friburgo 25 anni fa, «atterrata» a Lugano lo scorso inverno. Da quest’esperienza è nato un documento, rivolto alle autorità, per riconoscere la cultura indipendente, sostenendola con spazi, finanziamenti e un quadro legislativo aggiornato. La Carta della Gerra è stata presentata a inizio febbraio 2024. Nel programma de La Straordinaria Olmo Cerri e Antonio Prata (regista e produttore) hanno proposto anche proiezioni di film e documentari. Malgrado il lavoro svolto da alcuni cinema, per Cerri sul territorio mancano degli spazi «off» che possano ospitare quei titoli che restano fuori dalla classica distribuzione. Un modello auspicabile sarebbe quello del ‘miniplex’ proposto ad esempio al Zinéma di Losanna, dove in più stanze di piccole dimensioni vengono mostrati diversi film.

Immer ein offenes Ohr

Ein Porträt über Olmo Cerri, Dokumentarfilmer, Podcast-Autor und einer der engagiertesten Mitstreiter der Tessiner Kulturszene, wenn es um die Forderung nach Räumen für Kunst und Austausch geht.

Seine ersten Erfahrungen mit Selbstverwaltung machte Olmo Cerri als Kind in Sonvico, einem knapp zehn Kilometer von Lugano entfernten Dorf in den Hügeln. Dort hatte man den Kindern als Treffpunkt einen Stall zur Verfügung gestellt, wo sie Musik machen und kollektive Aktivitäten organisieren konnten. Das Leben in der Gemeinschaft begann für ihn früh; seine Eltern waren stets politisch engagiert: «Für mich war das ein Vorbild. Die ersten Demos für das Kulturzentrum Molino besuchte ich zusammen mit meinem Vater».

Filmen als Form von Engagement

Cerri, geboren 1984, war zu jung, um das selbstverwaltete Kulturzentrum Molino noch an seinem ersten Standort in Lugano zu frequentieren, aber als das ehemalige Grotto al Maglio geräumt wurde, das die Autonomen einige Jahre lang besetzt hatten, war er schon achtzehn. Er begann, an Versammlungen teilzunehmen, gestaltete Flyer, half, wo und wie er konnte: «Ich fühlte mich dort nützlich, es gab damals Leute im Molino, die sich aktiv bemühten, Neulinge zu integrieren, aufzunehmen, ihnen zu erklären, was vor sich ging».

Die eigenen Erfahrungen mit Aktivismus und ein spontanes Interesse für Geschichte und Geschichten führten dazu, dass Cerri, unterdessen Sozialarbeiter, zum ersten Mal zur Filmkamera griff. «Wir begannen, kurze Dokumentarfilme über die Geschichten von Drogenabhängigen in der Region Lugano zu drehen. Und da wurde mir klar, dass das Erzählen der Erfahrungen von Menschen etwas ist, was mich interessiert. Es kann ein politischer Akt sein: Jenen eine Stimme geben, die keine haben».

Spontan entstandene Kohärenz

Es ist wichtig, dass dieser Kontext bekannt ist, bevor man über die Dokumentarfilme und das Schaffen von Olmo Cerri spricht. Durch sein Schaffen zieht sich ein roter Faden aus Ethik, Lebensphilosophie, Aktivismus, Gemeinschaft, Raum, Ökologie, Geschichte und Kämpfertum: Von den Aufnahmen während einer Antimilitärdemo in den frühen 2000er Jahren bis zum Dokumentarfilm, den er an den vergangenen Solothurner Filmtagen vorstellte, «La scomparsa di Bruno Breguet». Der Film beleuchtet eine Episode, die fast vollständig aus dem kollektiven Gedächtnis des Tessins verschwunden war (es geht um einen militanten Aktivisten, der 1995 spurlos verschwand), handelt aber auch von den Enttäuschungen der Gegenwart und den Zukunftshoffnungen der Vergangenheit, die immer ungewisser werden. Ein Film, der für Cerri auch Anlass für tiefgründige persönliche Reflexionen über den heutzutage geringen Nutzen von Aktivismus bot, und gleichzeitig auch über die Macht der – individuellen und kollektiven – Proteste zur Veränderung der Welt. Auch der Verein REC, den er zusammen mit anderen Tessiner Regisseuren und Filmkollegen aufbaute, ist ein kollektives Projekt: «Es ist ein bisschen wie ein Zuhause, es fühlt sich gar nicht nach Arbeit an, wenn ich für eines meiner Projekte dort bin». An Projekten fehlt es ihm nie, und sie können viele Formen annehmen: Dokumentarfilme für Fernsehen und Kino, Podcasts, Audiodokus, Comics. Die Themen widerspiegeln, was ihm am Herzen liegt: Kollektive Gärten, solidarische Landwirtschaft, Migrationsgeschichten, die italienische Diaspora, kleine Realitäten – selbsterzählend oder von einfachen oder auch extravaganten Personen wie Nino Zucca erzählt, dem Protagonisten des Films «Swiss Elvis», den Cerri 2018 für die RSI-Sendung «Storie» drehte.

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Ein Akt des Vertrauens

«Ich habe das Gefühl, nichts zu können. Ich kann weder Ski fahren noch ein Instrument spielen, beherrsche keine Fremdsprachen, habe keinen Uniabschluss. Ich versuche, Dinge zu machen, aber damit sie mir gelingen, muss ich mich sehr anstrengen. Dafür bin ich extrem unabhängig, und das hat mich schon immer fasziniert, es gefällt mir und gibt meinem Leben einen Sinn». Olmo Cerri ist bescheiden und unterschätzt wohl manche Aspekte seines Werdegangs, aber er muss zugeben, dass er, vielleicht auch dank seiner Ausbildung zum Sozialarbeiter (vor dem Studium am CISA), Vertrauen zu schaffen vermag.

Er arbeitet mit einem kleinen Team, will die Leute, die sich ihm mit ihren Geschichten anvertrauen, nicht überrollen und sie unter keinen Umständen zu etwas zu drängen. Stattdessen versucht er, eine nichtausbeuterische Beziehung zu ihnen aufzubauen. Auf die gleiche Weise ging er auch beim Dokumentarfilm «Non ho l’età» (2017) vor, der von den Italienern und Italienerinnen erzählt, die Mitte 1960er Jahre auf der Suche nach Arbeit in die Schweiz kamen und hier die schwierige Schwarzenbach-Ära mit Rassismus, Ausbeutung, oft auch Trennung von der Familie erlebten. Zählen durften sie dabei auf die Solidarität innerhalb der italienischen Gemeinschaft, die im ganzen Land präsent war.

Ein Film, der auch im Ausland gezeigt wurde: «Wir waren in Ankara, Istanbul, in Polen, auch in Brasilien. Für mich ist der Film auch ein bisschen eine Familiengeschichte, meine Grossmutter kommt aus dem Veneto». In jedem seiner Filme steckt ein wenig Olmo, es ist ein Fluss gegenseitiger Bereicherung, deutlich sichtbar für alle, die seine Karriere mitverfolgen.

Kollektives Erzählen

Auch in «Quegli stupefacenti anni zero» steckt ein wenig von ihm: Der 2023 produzierte Podcast erzählt von der Zeit, als im Tessin die Hanfproduktion explosionsartig zunahm. Ein einzigartiges Phänomen in einer rechtlichen Grauzone, das Behörden wie Bevölkerung völlig unvorbereitet traf und sich auch auf Menschen wie Olmo auswirkte, der in dieser Zeit ein junger Erwachsener war. «Es handelt sich um eine Erfahrung, die wir als Generation gemacht haben, davon zu erzählen ist interessant». Wieder steht ein grosses «Wir» für ein historisches Thema. Nach dem gleichen Prinzip entstand während der Corona-Pandemie auch «Strani giorni», ein kollektives akustisches Tagebuch, für das zahlreiche Menschen Sprachnachrichten und Aufnahmen schickten, in denen sie von ihrem Alltagsleben in dieser präzedenzlosen Zeit erzählten.

Im Laufe der Jahre vermochte Cerri nicht nur das Vertrauen der Leute zu gewinnen, sondern bewies auch die seltene Fähigkeit, mit seinen audiovisuellen Projekten Brücken zu bauen: zwischen Generationen, zwischen der Vergangenheit und der Gegenwart, durch Momente des Austauschs, das Ganze stets im Einklang mit seiner Persönlichkeit, seiner Ethik und seinem Schaffen.

«Wenn man eine Bezugsgemeinschaft hat, lässt sich jedes Problem bewältigen. Für mich haben jene Erfahrungen einen Sinn, die Menschen zusammenbringen».

Rester à l’écoute

Portrait d’Olmo Cerri, réalisateur de documentaires et auteur de podcasts, figure incontournable de la scène culturelle tessinoise, engagé dans la promotion d’espaces dédiés à l’art et au partage. 

C’est à Sonvico, le village perché où il a grandi, à une dizaine de kilomètres de Lugano, qu’il a fait sa première rencontre avec l’autogestion. Les enfants du village s’étaient vu confier une étable qu’ils avaient transformée en un lieu de rassemblement, où l’on pouvait jouer de la musique et organiser des activités collectives. Pour Olmo Cerri, la vie communautaire a débuté très tôt, ses parents étant toujours engagés politiquement : « Cela m’a semblé être un modèle à suivre. J’ai participé aux premiers événements du Molino (ancien Centre social autogéré de Lugano, ndlr) avec mon père. »

Laudiovisuel comme forme d’activisme

Né en 1984, Olmo Cerri était trop jeune pour assister au premier siège du Centro Sociale Autogestito il Molino à Lugano, mais il avait déjà 18 ans lors de l’évacuation du Maglio, où les personnes autogérées occupaient depuis quelques années un ancien grotto. Il a commencé à participer aux assemblées, à concevoir des flyers, à apporter son aide partout où il le pouvait : « Je me suis senti utile dans cette réalité, c’était une époque où, au sein du Molino, il y avait des gens qui travaillaient activement pour intégrer de nouvelles personnes, les accueillir et leur expliquer ce qui se passait. »

Le contact direct avec l’activisme et un intérêt spontané pour l’histoire et les récits ont conduit Olmo Cerri à s’engager pour la première fois dans l’audiovisuel au cours de sa carrière de travailleur social. « Nous avons commencé à réaliser de courts documentaires sur les histoires des toxicomanes de la région de Lugano. C’est à ce moment-là que j’ai compris que ce qui m’intéressait, c’était de raconter les vicissitudes des gens. Cela pouvait être une démarche politique : donner une voix aux personnes qui en étaient dépourvues. »

Une cohérence spontanée

On ne peut évoquer les documentaires et les œuvres d’Olmo Cerri sans les replacer dans leur contexte. Tout s’entrelace le long de ce fil conducteur qui lie éthique, philosophie de vie, activisme, dimension communautaire, territoire, écologie, histoire et lutte. Depuis ses premiers films tournés lors d’une manifestation antimilitariste au début des années 2000 jusqu’au documentaire présenté lors des dernières Journées de Soleure, « La scomparsa di Bruno Bréguet » (« La disparition de Bruno Bréguet »), l’œuvre de Cerri s’inscrit dans un récit captivant.

Ce film, en redécouvrant une histoire presque effacée de la mémoire collective tessinoise (celle du militant politique disparu en 1995), aborde les désillusions du présent et les espoirs du passé, pour un avenir qui semble de plus en plus incertain. Il a également représenté une profonde réflexion personnelle pour Cerri, mettant en lumière l’inefficacité de l’activisme contemporain tout en soulignant le pouvoir de la contestation – individuelle et collective – pour changer le monde.

L’association REC, qu’il a fondée avec d’autres réalisateur·trice·s et professionnel·le·s tessinois·e·s, incarne également un projet collectif : « C’est un peu comme une maison, je n’ai pas l’impression de travailler quand je suis là pour mes projets. » Ces projets, nombreux et diversifiés, prennent différentes formes : documentaires pour la télévision et le cinéma, podcasts, documentaires audio, et bandes dessinées. Les thèmes abordés reflètent les sujets qui sont chers au réalisateur : les jardins communautaires, l’agriculture solidaire, les récits d’émigration, la diaspora italienne, ainsi que les petites parcelles de territoire qui racontent leur propre histoire ou celle de personnages simples ou farfelus, comme Nino Zucca, le protagoniste de « Swiss Elvis », réalisé pour le programme « Storie » (« Histoires ») de la RSI en 2018.

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Un acte de confiance

« J’ai l’impression que je ne suis pas capable de faire quoi que ce soit. Je ne sais pas skier, je ne sais jouer d’aucun instrument, je ne connais pas les langues, je n’ai pas de diplôme. J’essaie de faire des choses mais je dois travailler dur pour réussir. Mais cela me permet aussi d’être extrêmement indépendant, et c’est quelque chose qui m’a toujours enthousiasmé, amusé, et qui a donné un sens à ma vie. » Olmo Cerri est modeste et sous-estime peut-être de nombreux aspects de son parcours, mais il ne peut nier que, probablement aussi grâce à sa formation de travailleur social (obtenue avant de fréquenter le CISA), il a la capacité d’inspirer confiance.

Il travaille avec une petite équipe, ne souhaitant pas être envahissant avec ceux et celles qui comptent sur lui pour raconter leur histoire. Il refuse tout forcing sur ses interlocuteur·trice·s et essaie de construire avec eux et elles une relation qui ne soit pas prédatrice. Il a également adopté cette approche avec les protagonistes du documentaire « Non ho l’età » (2017) (« Je n’ai pas l’âge »), qui raconte les histoires de ceux et celles qui, au milieu des années 1960, ont rejoint la Suisse depuis l’Italie pour trouver du travail, en vivant les années compliquées de l’ère Schwarzenbach, les épisodes de racisme et d’exploitation, ou les séparations de leurs familles, affrontées grâce à la solidarité de la communauté italienne présente dans tout le pays. Un film qui a beaucoup voyagé, même à l’étranger : « On est allé·e·s à Ankara, à Istanbul, en Pologne, il a également été projeté au Brésil. C’est aussi un peu une histoire de famille, ma grand-mère était Vénitienne. » Il y a un peu d’Olmo dans chacun de ses projets, dans un flux d’enrichissement mutuel, clairement visible pour quiconque observe sa carrière.

Un récit collectif

Il y a aussi un peu de lui dans « Quegli stupefacenti anni zero » (« Ces stupéfiantes années zéro »), un podcast produit par RSI en 2023 dans lequel il raconte l’époque de l’explosion de la culture du chanvre au Tessin. Un phénomène unique qui a pris tout le monde au dépourvu, des autorités à la population, un flou juridique qui a également eu un impact sur ceux qui, comme Olmo, faisaient leurs premiers pas dans l’âge adulte à cette époque. « C’est une expérience que nous avons vécue en tant que génération et qu’il est intéressant de raconter. » Encore une fois, un grand « nous » représentant l’histoire. « Strange Days », un journal sonore collectif auquel de nombreuses personnes ont participé en envoyant des messages vocaux et des enregistrements racontant leur vie quotidienne lors d’un événement sans précédent, est également né sur ce même principe lors de l’épidémie de Covid-19.

Au fil des années, Olmo Cerri a non seulement gagné la confiance des gens, mais il a également démontré une capacité rare à construire des ponts à travers ses projets audiovisuels : entre les générations, entre le passé et le présent, en créant des moments de partage, en accord avec sa personne, son éthique et son travail. « Si vous avez une communauté de référence, vous pouvez survivre à n’importe quel problème. Toutes les expériences qui ont un sens pour moi sont celles qui rassemblent les gens. »