di Walter Breitenmoser 13.07.2005

In Liberi tutti Claudia Patocchi Pusterla ha raccolto 10 testi, nati tra il 1994-95 e il 2002-03, scritti da ragazzi tra i diciassette e i vent’anni nell’ambito del lavoro di diploma alla Scuola specializzata per le professioni sanitarie e sociali di Canobbio, dove la Patocchi insegna. Gli studenti hanno svolto il lavoro nel corso del terzo e ultimo anno scolastico, con la consulenza della docente, godendo tuttavia della massima libertà nella scelta dell’argomento e della forma. Nella bella introduzione la curatrice spiega il motivo che l’ha portata a pubblicare i testi: «[…] alla raccoglitrice è in fondo parso importante dar voce a scritture di sottobosco, assai diffuse, senz’altro più di quanto si creda, vivaci e dense, a volte ingenue a volte consapevolmente mordaci, sempre sentite ed emotivamente forti, indubbiamente ricche e autentiche.»

E ciò che caratterizza questa raccolta è proprio la ricchezza e varietà dei testi proposti, che pur presentandosi dimessamente come prodotti di «scrittori per caso», raggiungono in alcuni casi qualità letterarie che vanno al di là della pur sempre autentica e sentita testimonianza di un’esperienza di vita.

Tutti i testi si contraddistinguono infatti per l’attenzione e la riflessione, implicita o esplicita, sulla scrittura. Giordano, il protagonista del racconto dai tratti fiabeschi «Azzurro come il fiume Giordano» di Francesca Calogero, si rifugia nella solitudine di un bosco per sfuggire alla realtà per lui insopportabile del mondo odierno, portando con sé un quaderno in cui annota i suoi pensieri e anche le sue considerazioni sulla scrittura come mezzo per descrivere la realtà, facendosi così portavoce dell’autrice stessa e del suo confronto con la scrittura:

Con le parole si possono comporre frasi, combinandole si possono esprimere emozioni e sensazioni non tangibili, e situazioni o oggetti non presenti o non reali. Descrivere con progressiva precisione la realtà. Su cosa si basa però il concetto di realtà?

«Ces. Alternativa applicata», in cui sin dal titolo si percepisce un’affettuosa ironia, è, come la maggior parte dei testi presentati (7 su 10), un testo autobiografico nel senso leujeniano dell’identità tra autore, narratore e protagonista. Nella prima parte l’autore, Olmo Cerri, vi descrive in forma diaristica la sua esperienza nel villaggio alternativo di Ces, per poi commentare e analizzare lucidamente in modo autocritico e autoironico la propria scrittura, rivendicandone allo stesso tempo con fierezza la sincerità e l’autenticità:

Noto che tutto il diario è costellato di sprazzi di riflessione un po’ fuori luogo per quella che in fondo non è che una vacanzina a pochi passi da casa. Mi rendo conto che quando racconto del clima nella Leventina e del paesaggio utilizzo un tono un po’ presuntuoso, saccente. Quasi da esploratore nella savana africana, ed invece ero a una distanza che gli altri percorrono giornalmente per arrivare a scuola. Ciò nonostante è un diario sincero, dimostra il genuino stupore che mi coglieva in quei momenti, e spiega la curiosità che ho notato in quel periodo, senza troppi condizionamenti e vincoli.

Tutto incentrato sull’analisi della propria scrittura è invece il testo di Diego Contini «Scrivere. Crescendo e per crescere» in cui l’autore commenta, in un percorso cronologico, i propri testi, scritti per brani hip hop, mettendo in risalto il ruolo della scrittura come sfogo.

Quest’ultimo tratto caratterizza anche altri testi presenti nella raccolta. Vi accenna esplicitamente Héloise Denti nell’introduzione al suo testo in forma di diario intimo «Calati in un anno della mia vita»:

Ogni anno riempio di parole colorate almeno due diari. Poesie, sogni, paure, tutto quello che sento in un determinato momento e che si libera sul foglio.

Con parole analoghe Monia Latini presenta «C’era una volta un principe azzurro…», racconto autobiografico di una storia sentimentale («mi è sempre piaciuto scrivere, mi libera la mente e mi rilassa…»), mentre per Gionata Leoni la scrittura è sì un modo per sfogarsi, ma anche per ricordare e capire un’esperienza professionale, l’apprendistato nel campo della selvicoltura, giudicata a posteriori sbagliata. Il racconto ripercorre in una specie di diario retrospettivo i mesi dell’apprendistato che si presentano sin dal titolo («Dall’inferno del bosco») come un viaggio metaforico all’inferno. Le sue parole conclusive mettono in risalto non solo la funzione liberatoria, ma anche quella cognitiva della scrittura:

Scrivendo questo lavoro mi è nata la passione dello scrivere che ora considero il mio modo di comunicare i sentimenti più profondi. Scrivendo questo lavoro ho conosciuto ancor più una persona. Me stesso.

Un altro viaggio, tra sogno e realtà, attraverso il quale il protagonista ricostruisce la storia dell’umanità e di se stesso, è al centro del racconto di Ciril Noto «Viaggio in solitario nelle circostanze». Un racconto, che con l’uso della seconda persona si trasforma a tratti in un dialogo con se stesso.

Il ruolo della scrittura è in primo piano anche nel testo di Alex Rusca «Io e l’eroina», racconto autobiografico di un’esperienza di tossicodipendenza. Per l’autore, la prosa «rimane nei momenti di sconforto una delle uniche consolazioni rimaste». Proprio nel testo di Rusca la funzione liberatoria e terapeutica della scrittura è tuttavia abbinata a una funzione che possiamo senz’altro chiamare letteraria. Il testo infatti si distingue per una ricerca linguistica molto accurata, il cui risultato è uno stile scaltro, tagliente e incisivo che si rifà espressamente a modelli della beat generation e della cultura rock americana, come Ginsberg, Borroughs, Lou Reed e soprattutto Jim Morrison, ripetutamente citati, e che eleva il testo al di sopra di un semplice, seppur toccante, reportage di un’esperienza vissuta.

Più che esplicitamente, nei due testi che chiudono la raccolta, la riflessione sulla scrittura si svolge attraverso la ricerca stilistica e narrativa, raggiungendo risultati più che convincenti dal punto di vista letterario. «Tempo: pensieri in libera uscita» di Flavio Stroppini, che dopo questo testo, scritto nel 1999, ha proseguito la sua attività di scrittore pubblicando prosa e poesia («Bar Macello» e «Niente salvia a maggio», Capelli editore), è una specie di diario filosofico che indaga sull’entità del tempo, ma implicitamente, anche sulla scrittura stessa. Il testo infatti è caratterizzato da una varietà di stili, «gli stili di Flavio Stroppini» come scrive la curatrice, sperimentati a seconda della materia trattata e degli umori dell’io narrante. In questo senso è proprio la scrittura che si fa protagonista del racconto.

Ma il testo forse in assoluto più convincente della raccolta è «Oltre la linea» di Monica Rusconi. Si tratta di un racconto in prima persona di un’infanzia e un’adolescenza travagliate, caratterizzate da un difficile rapporto dell’io narrante con la madre. Ciò che distingue il testo, è la scelta formale di raccontare gli avvenimenti dal punto di vista della protagonista, prima bambina e poi adolescente. Ne consegue la scelta di uno stile dapprima semplice e secco che si evolve con la crescita della protagonista e che quindi trasforma dalla prima riga un testo apparentemente autobiografico in un vero e proprio romanzo (breve) di formazione.

I due testi succitati chiudono in bellezza la raccolta curata da Claudia Patocchi Pusterla, alla quale va il grande merito di aver tirato fuori dal «sottobanco» questi lavori che non permettono solo uno sguardo interessante sul mondo giovanile, bensì testimoniano di una capacità di scrittura che contraddice le sempre più frequenti previsioni e lamentele apocalittiche sull’incapacità di scrivere dei giovani e sul degrado generale della loro cultura.